La sala della stazione ferroviaria di Pechino è gremita di persone, d’altronde sono più di un miliardo e settecentomilioni e.. si muovono. Nel trambusto, in attesa che Lily prenda informazioni per dove recarsi, trovo un posto per sedermi e guardarmi intorno. E’ un caos e non si capisce niente, una calca infernale: chi mangia, chi dorme, chi trascina enormi scatole e valigie, chi svuota e chi riempie borse, cerco Lily, ma non la vedo. E’ sparita. La folla va ingrossandosi sempre più. Salgo in piedi sulla sedia e finalmente la scorgo in prossimità del cancello. Si gira, incrociamo gli sguardi, e fa cenno di seguirla. Una parola! Con sorry e please, che non sortiscono alcun effetto, mi faccio largo a spinte e la raggiungo. “Dammi il biglietto e seguimi, fra dieci minuti apriranno il cancello”. Quando viene aperto, la marea umana sprigiona la sua onda e veniamo trasportati in avanti. Come nelle rapide di un corso d’acqua, cerchiamo di imboccare la piccola strettoia di apertura per non essere schiacciati ai lati. Con i bagagli riesco a starle dietro pur perdendo alcune posizioni, vedo il mio biglietto passare sotto il naso del controllore e l’onda successiva mi porta a superarlo con incredibile velocità. Lily mi indica le scale che scendono, asserisco con la testa e giù, verso le pensiline e i binari. Adesso c’è un po’ di calma, tutti si dileguano perché sanno dove andare. Gli unici fermi siamo noi. La sento chiedere informazioni, sembra un suono di xilofono quando parla, poi mi indica il treno e la carrozza. “Questo è il treno K 27 e queste due sono le carrozze che vanno in Corea del Nord, tu sei su questa. Domani sera arriverai a Pyongyang verso le 19,30. Ti serve qualcosa? No? Ci rivedremo al ritorno se non ci sarò io, ci sarà la mia collega. Buon viaggio”
Il treno “K 27”, due carrozze verde scuro con un bello stemma rosso al centro del vagone. Entro prendo posto e dopo aver sistemato i bagagli curioso per gli altri scompartimenti, sono già pieni, come hanno fatto ad arrivare prima? Tutti occhi a mandorla, non un occidentale. I due inservienti hanno una divisa che sembra militare con cappelli a padella enormi, anch’essi di un bel colore verde. Sorrido, mi guardano vacui. Il treno parte puntuale, osservo dai finestrini sfilare l’hinterland di Pechino. Grandi casermoni, auto, moto, una fiumana di gente che cammina per le strade poi le vie si fanno più deserte, il sole va scomparendo all’orizzonte mentre la notte scende e mi addormento. Dall’alto del 34° piano osservo l’aurora illuminare di rosa la città, c’è un senso di pace, penso che l’antico nome Choson (Calmo mattino) per indicare la Corea del Nord sia azzeccato. L’ascensore mi porta al piano terra e un signore in giacca e cravatta accompagnato da una signora col costume tradizionale, di un color rosa confetto, mi vengono incontro sorridendo. “Venga oggi andiamo a Kaesong, l’antica capitale, all’epoca della dinastia Goryeo si chiamava Koryo, è una bella città con un importante centro buddista e racchiude anche il Collegio Neo-Confuciano di Songgyngwan che risale al 992 d.C. …”
L’autostrada è dritta, non c’è traffico e in meno di due ore raggiungiamo la località. Girovaghiamo per i monasteri, la visita alla tomba del Re Kongmin e della sua regina è sorprendente per i decori e i rivestimenti di granito e statue tradizionali, tutto intorno dolci colline… E’ notte, sono in un caratteristico Yeogwan (costruzione tradizionale coreana) con porte in vetro scorrevoli, stuoia per terra, soffice piumone. Nel giardinetto, attraversato da un ruscello, osservo un piccolo acero circondato da alcuni sassi, regna un gran silenzio, accendo una sigaretta, la pioggia picchietta incessante…
La musica proviene da alcuni altoparlanti collocati nel parco, è festa. Tutti sono in costume tradizionale. Giochi di squadra, danze, picnic, chi gioca a carte seduto sul prato, chi va sulle giostre, i bambini comprano dolciumi nei chioschi. Preso per mano da una donna vestita di azzurro, mi trovo a ballare in cerchio e così passo a una dama vestita di verde, poi ad una in rosso, poi in giallo, in un turbinio di colori, si ride anche se non riusciamo a scambiarci una parola. Alcune anziane donne in costume danzano al suono di tamburi, sembra un ballo animista…
In lontananza vedo una fila di gente che va a vedere la casa natia dell’”Eterno Presidente” sono tutti contenti e allegri. Una sola nuvola oscura il cielo: è un enorme edificio grigio. E’ uno strano edificio ed entro. Percorro un tunnel sotterraneo, trasportato da tappeti mobili, attraverso una galleria del vento, cammino su dei rulli galleggianti sull’acqua e osservo le mie suole lavate, vengo condotto in un ascensore senza piano e poi, nell’immensa sala che si spalanca, vedo una bara in cristallo con il corpo, imbalsamato, di Kim Il Sung. Un gelo e un silenzio sepolcrale. Come da rituale giro intorno ai quattro lati del sarcofago e mi inchino… Il monaco mi sorride, si china profondamente e mi invita a entrare nel tempio. Prendo alcuni bastoncini di incenso e li accendo raccogliendomi in meditazione.
I templi buddisti sono ben conservati, riccamente intarsiati e dai colori brillanti, situati in una valle dove il profumo della resina riempie l’aria. Dal terrazzo osservo la natura circostante e sorseggio il tè. La strada che porta qui attraversa la campagna adornata da piccoli villaggi con case ad un solo piano. Campi coltivati e qua e là si vedono gruppi di persone che lavorano, mentre carri trainati da trattori scoppiettanti e un po’ vecchiotti attraversano stradine sterrate… Anche il vaporetto scoppietta mentre pranzo navigando sul fiume Taedong. Passo sotto la “Torre della Idea Juche” con la sua fiamma perennemente accesa, mentre nella riva opposta vedo l’imponente piazza Kim il Sung ed a lato la statua del Grande Leader il “Mansudae Great Monument”. E’ tutto grandioso come lo stadio, ben 150.000 posti, dove si celebra il May Day: uno spettacolo ginnico di massa con più di trentamila persone per creare la scenografia e altrettante nel parterre che si esibiscono in esercizi ginnici con balli, luci e coreografie uniche. All’entrata dello stadio ci sono bancarelle dove vendono dolci, bibite, ricordi, cd dello spettacolo, una moltitudine di gente si riversa all’interno facendo impallidire un nostro stadio di calcio, mi guardo intorno, mi sento solo.
Sono solo al ristorante, una grande sala, debitamente apparecchiata per almeno duecento persone, è tutta per me, già, potrei proprio sentirmi un re! Quattro cameriere, a piccoli passi, mi servono quasi danzando… Il sipario si alza, da un lato c’è l’orchestra composta da ragazzi e ragazze, dall’altro il coro intona una canzone mentre il corpo di ballo entra in scena: sono al Mangyongdae Children’s Palace. Uno spettacolo allestito da ragazzi dotati di un incredibile talento. Alla fine dell’esibizione non può non mancare un boato di applausi! …. Mi sveglio! Sono arrivato a Pyongyang! Guardo l’ora sono le 19,30 in punto. In perfetto orario non c’è che dire. Scendo dalla carrozza, mi viene incontro un signore in giacca e cravatta accompagnato da una signora nel costume tradizionale, di un colore rosa confetto. “Piacere sono Mr. Kim e lei è la signora Sol ci segua. La prego. No! Non può fare la fotografia, ora andremo in Hotel, domani partiremo per Panmunjeom, la zona demilitarizzata, forse Lei la conosce come “38° parallelo”. La città è buia, qualche raro lampione, in giro non c’è nessuno, neanche un’auto, non un insegna, non un negozio, niente finestre illuminate… un momento… si intravede una piccola luce. E’ una donna con una torcia che cammina sul marciapiede. All’albergo mi dirigo velocemente al 34° piano, guardo fuori dalla grande finestra… è tutto buio. Ma dove diavolo sono capitato, quei due poi mi sembra di averli già incontrati, forse ho sognato…..o come diceva quella frase letta in un libro…
“Quello che c’è non esiste e ciò che è vero non c’è”.
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