Questa avventura, proposta da Piero agli “Esploratori” di Viaggi Polari, si può dire abbia inizio con la lettura del libro “Pianeta Caucaso” di Wojciech Górecki, un insegnante e giornalista polacco, corrispondente, dal Caucaso per i maggiori quotidiani polacchi.
Un pianeta racchiuso tra mar Nero e Mar Caspio ingarbugliata scacchiera di popoli, lingue e religioni, dove, spesso prevale il boato delle armi: così Górecki definisce il Caucaso, prima di presentare il suo interessantissimo reportage sul Caucaso settentrionale col quale descrive dettagliatamente la vita di quei territori a ridosso del nuovo millennio, subito dopo i sanguinosi eventi successivi allo sfaldamento dell’Unione Sovietica, verso la fine del 2° millennio.
Dal libro scaturisce una incredibile varietà di razze, religioni, usi, costumi e tradizioni, in generale, che non può che alimentare la curiosità del viaggiatore, anche quello meno entusiasta.
Il viaggio, si è svolto tra metà settembre e metà ottobre, all’incirca, partendo dalle coste orientali del mar Nero fino a quelle occidentali del Mar Caspio, dalla Abcasia al Daghestan.
21 settembre 2019
Incontro coi compagni di viaggio
Come spesso succede nei tour organizzati da Piero, le prime fasi del viaggio ci vedono impegnati ad individuare eventuali compagni di viaggio già conosciuti in precedenza: anche questo viaggio non fa eccezione: così ritroviamo Marisa e Luigi (a Milano Malpensa) e Mariangela (a Sochi), conosciuti l’anno precedente alle Svalbard.
Il viaggio è diviso in due parti: durante la prima, fino a Pyatigorsk, il 27 settembre, siamo, in tutto, 14 compagni di avventura:, Marisa e Luigi dal Veneto, Mariangela, Sandra e Marco, dal Piemonte, come Piero, l’accompagnatore, Leandro, Fabio e Roberto dalla Lombardia, Marco, Alfredo e Michele dalle Marche, Luca e Luca dal Trentino Alto Adige.
Arrivo in Abcasia
Dopo il volo a Sochi, via Mosca, partiamo in minibus verso sud, affrontando subito la prima emozione del viaggio: il visto alla frontiera con l’Abcasia, un documento volante, simile ai comuni visti regolari, ma senza l’obbligo di apposizione sul passaporto) e l’attraversamento del confine.
Espletate le formalità in poco meno di 2 ore, senza particolari intoppi, , siamo accolti da Daiana, la guida locale, e Valentina, da Mosca, manager del tour operator che ha organizzato il viaggio e con loro ci dirigiamo all’hotel Continent Gagra a Gagra (Abkhazia) per il pernottamento.
Abcasia – Il suo isolamento
La Repubblica di Abcasia, autoproclamatasi indipendente il 23 luglio 1992, con l’appoggio della Federazione Russa, che ne ha riconosciuto l’indipendenza nel 2008, è un territorio conteso dalla Georgia che lo considera territorio occupato, in quanto parte della sua cultura tradizionale fin dal I millennio a.C., quando faceva parte dell’antico regno della Colchide. Per questo contenzioso, l’indipendenza della Abcasia non è ufficialmente riconosciuta né dall’Unione Europea né dalle Nazione Unite, ma solamente da Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru, Vanuatu, Tuvalu e Siria, oltre che Ossezia del Sud, Transnistria, Repubblica dell’Artsakh (o Nagorno Karabakh) e Repubblica popolare di Doneck, che non rientrano tra i paesi dell’ONU.
Nel paese si parla l’abcaso ed altri dialetti locali, oltre che il russo, e la moneta utilizzata è il rublo russo; per quanto riguarda il passaporto, ha detto la nostra guida, prima dell’indipendenza del 2008, gli Abcasi avevano il passaporto russo, che però da allora viene solo più concesso a coloro che anno i genitori con passaporto russo: attualmente, riassume Daiana, coloro che non hanno passaporto russo possono viaggiare solamente negli 11 paesi che la riconoscono, ma non possono chiedere il passaporto russo se non hanno genitori col passaporto; ad aumentare l’”isolamento” degli abcasi contribuisce la chiusura della frontiera terrestre con la Georgia, sia per georgiani che per russi e abcasi (questi ultimi possono attraversarla solo per gravi e comprovati motivi, per esempio medici); l’alternativa è l’aereo, passando da Mosca; agli stranieri è consentito attraversare la frontiera, salvo in casi specifici, come le imminenti elezioni in Abcasia o le olimpiadi invernali di Sochi del 2014, quando era chiusa anche la frontiera tra Abcasia e Russia.
*A pagina 30 la narrazione dei giorni trascorsi in Abkhazia nell’articolo dal titolo: “Abkhazia, lo stato fantasma” di Leonardo Lucchetti. Il mio racconto, lasciata l’Abkhazia, riprende da Sochi e ci porterà attraverso tutto il Caucaso Russo fino al Daghestan.
25 settembre 2019
Territorio di Krasnodar – Mezmay e la montagna
Partiamo, al mattino presto, da Sochi, situata nel Territorio di Krasnodar, in Russia, al di fuori delle repubbliche caucasiche, con solo il tempo di scattare alcune foto alla stazione ferroviaria, risalente ai primi anni ’50, diretti, con un treno “veloce” (60 km/h la velocità di punta, letta sul monitor della carrozza), a Khadyzhensk: prima metà del percorso, lungo la costa del mar Nero (ma con scarsa visibilità del litorale) e seconda parte tra i boschi.
Alla stazione di arrivo partiamo, con un minibus, alla volta di Mezmay, dove arriviamo verso le 13 e preso possesso della camera, andiamo a pranzo presso una famiglia del luogo, composta dai genitori, molto giovanili, di bell’aspetto e dal fisico invidiabile, e …. 8 figli: sarà forse merito del clima delle montagne del Caucaso occidentale?
Dopo pranzo affrontiamo un trekking di un paio d’ore, lungo un sentiero a tratti ripido ed insidioso per la pioggia, che si snoda di fianco ad un ruscello, in mezzo ad una natura lussureggiante.
Poi siamo ospiti di Michail (71 anni con 4 figli, dai 4 ai 38 anni), un personaggio di origine cosacca, dall’aspetto autorevole e con una folta barba non ancora completamente bianca, che ci presenta, a casa sua, il suo piccolo museo, contenente soprattutto oggetti etnici, ma anche alcuni reperti archeologici antichi; ci illustra, con l’aiuto di alcune sue giovani studentesse, la sua attività, riconosciuta a livello statale, di insegnante di una scuola di pittura, intaglio del legno e tessitura.
Terminate le spiegazioni, ci spostiamo in un altro edificio, ad un centinaio di metri, dove sono in mostra attrezzi agricoli e meccanici di un tempo e dove Michail, al termine della breve visita, ci offre un vassoio di pomodori, cetrioli, peperoni e peperoncini, con pane rigorosamente artigianale e un potente liquorino, sicuramente fatto in casa, che lui definisce “liquore dei cosacchi”
Territorio di Krasnodar – Mezmay e la banja (sauna) russa
Prima di cena, a disposizione di tutto il gruppo, sfruttata da pochi, un’esperienza “forte”: la banja, tipica sauna russa, chiamata anche sauna nera (dal colore delle pietre usate).
La nostra avventura si svolge al buio, seduti su panche di legno, in un ambiente di fianco al ristorante, mentre di tanto in tanto qualcuno versa acqua sulle pietre nere (adeguatamente preriscaldate) che, formando vapore, portano la temperatura dell’ambiente ad 80/90°; ogni 5/10 minuti (noi lo facciamo un paio di volte) si esce per fare una doccia calda e/o fredda e per bere un tè e rigenerare così l’umidità persa, e poi si rientra; alla fine, distesi sulla panca, veniamo battuti su tutto il corpo, prima sul ventre poi sul dorso, con frasche di cespugli particolari, aromatici.
Tutti coloro che hanno aderito alla proposta, riescono ad uscire indenni dall’esperienza.
Alla fine della sauna, dopo l’ultima doccia, ci sediamo al tavolo, in accappatoio, per la cena, nel locale attiguo a quello della sauna poi tutti a piedi, all’hotel Mezmay, per il pernottamento
26 settembre 2019
Adighezia – Majkop
Al mattino, partiamo, poco prima delle 8, diretti in Adighezia, piccola repubblica della Federazione Russa, enclave all’interno del Territorio di Krasnodar, dove entriamo poco dopo le 9.30.
All’arrivo a Majkop, la capitale dell’Adighezia, visitiamo il piccolo museo di Zamudin, un simpatico circasso che si dedica a raccogliere e tramandare le tradizione del suo popolo legate all’uso e costruzione di strumenti musicali, soprattutto violini (che lui chiama “famigliarmente” stradivari) ed alla tessitura di tappeti di stuoia; durante la sua spiegazione ci coinvolge, e noi aderiamo con piacere, in alcuni momenti della sua attività, anche musicali (è maestro di musica in una scuola statale). Parlando con Zamudin, veniamo a sapere che agli allievi insegna la musica a voce perché non la sa scrivere; ci racconta anche della somiglianza tra la sua tecnica di costruire i tappeti di stuoia e quella utilizzata sull’isola di Hokkaido, che gli è valso l’invito in Giappone, con la moglie, per un confronto tra le due tecniche
Adighezia – I Circassi e la Circassia
I Circassi, che preferiscono chiamarsi Adighè, sono antiche etnie che una volta abitavano la regione del Caucaso settentrionale corrispondente, all’incirca, agli odierni territori di Krasnodar e di Stavropol, mentre oggi sono confinati sulle montagne delle repubbliche Karačaj-Circassia, Adighezia e Cabardino-Balcaria, dalle quali cercano, poco per volta, di scendere verso le città, dalle quali i russi poco per volta se ne stanno andando. La loro fama era legata al sultanato mamelucco dell’Egitto, del quale erano i principali detentori del potere. Nel XIX secolo, dopo una serie di rivolte contro il potere zarista, furono espulsi dai loro territori di origine, trovando rifugio, essendo mussulmani e grazie alle loro abilità militaresche, nelle regioni che ancora componevano l’impero musulmano, compresa la Turchia, dove furono chiamati a costituire la tradizionale Guardia Pretoriana del Sultano di Istanbul.
Una curiosità rivelata dalla nostra guida: il nome “circassi” sarebbe stato coniato dai russi, prendendo spunto dalla circassa, una stoffa di lana e cotone a spine, un tempo usata per abiti femminili.
Karačaj-Circassia – Il radiotelescopio a Mostovskoj
La nostra visita all’Adighezia si rivela molto breve ed alle 13 rientriamo nel territorio di Krasnodar, per la precisione a Mostovskoj, da dove, dopo pranzo, ci dirigiamo verso Zelenčukskaja, in Karačaj-Circassia, per visitare il Ratan 600, un radiotelescopio dell’osservatorio astrofisico speciale dell’Accademia russa delle scienze (il telescopio riflettore, BTA-6, si trova su un’altura ad una ventina di km di distanza), formato da un cerchio di 576 mt di diametro composto da 900 riflettori radio rettangolari
Karačaj-Circassia – Gli Alani
Dopo il radiotelescopio proseguiamo verso una località chiamata Lunnaya Poliyana in cima alla valle del fiume Reka Psysh. All’imbocco della vallata, nei pressi di Arkhyz, ci fermiamo, sotto una pioggerellina debole, ma fastidiosa, per una breve visita nella zona della antica città di Alania, visitando una delle tre chiese ortodosse del X-XIII , quella più settentrionale, considerata, a quei tempi, la cattedrale.
Tutto l’insediamento, comprese le tre chiese sono la testimonianza della presenza nella zona, degli Alani, un antico popolo nomade di origine iraniana, le cui prime notizie risalgono al I secolo a.C., e che sistematisi a nord del mar d’Azov, diedero parecchio filo da torcere ai romani. Nel medioevo (IX-XII secolo), attraverso varie alleanze tribali, formarono il regno (cristiano) di Alania che comprendeva i territori dell’Ossezia (nord e sud) e a nord dell’Abcasia, che però, in parte, decisero, nel XIII secolo, di sottomettersi all’impero mongolo. I discendenti degli Alani, i Circassi, sono attualmente concentrati nella zona dell’Ossezia del Nord, chiamata per questo, anche Alania.
Karačaj-Circassia – Le montagne del Caucaso
Lasciata la chiesa e la Alania, proseguiamo verso monte, fino a Lunnaya Poliyana, (Valle della Luna), una stazione sciistica a 1650 mt di altezza, per il momento ancora inattiva, vista la stagione invernale ancora lontana. E’ il primo contatto con l’alta montagna caucasica, ricoperta di foreste temperate miste, caratteristiche del Caucaso, composte principalmente di conifere, carpini, faggi, che, proprio in questo periodo, stanno dando inizio al meraviglioso spettacolo del “foliage”; i colori autunnali delle foglie, insieme a quelli delle prime spruzzate di neve fresca sulle cime più alte dell’intorno e dei batuffoli delle nuvole che si muovono a bassa quota nelle piccole valli laterali, uniti l’aiuto dell’azzurro del cielo, che sempre più spesso appare tra una nube e l’altra, ci mostrano un paesaggio quasi da favola.
La cena ed il pernottamento sono previsti all’hotel Vertical a Lunnaya Poliyana
27 settembre 2019
Karačaj-Circassia – Storia e geografia
Il giorno dopo ripercorrendo a ritroso la vallata ci imbattiamo subito in alcune greggi in transumanza, soprattutto pecore, che rallentano un po’ la nostra marcia, regalandoci però momenti indimenticabili, soprattutto quando ci troviamo sul minibus, completamente circondati dalla “lana”.
Verso le 10, prima fermata, ad un memoriale storico, con annesso piccolo museo, eretto a ricordo delle vittime dei violenti scontri sostenuti nell’ambito della cosiddetta Guerra del Caucaso, che fu combattuta tra nel 1942-43 dalle truppe tedesche e rumene (da una parte) e Russe (dall’altra) nella zona delimitata dal mar Nero, il mar Caspio, la catena del Caucaso ed i fiumi Volga e Don.
Poco dopo le 11 ripartiamo verso il passo Gumbashi (poco oltre i 2000 mt di altezza), da dove ci era stato predetto una bellissimo panorama, dominato da sua maestà il monte Elbrus; poiché, però, la dea bendata sembra essere particolarmente distratta, scendiamo sull’altro versante senza poter scattare foto della montagna, consolandoci, per questa delusione, con assaggi di formaggi, miele e noci, prodotti localmente che troviamo in vendita in un posto ambulante lungo la discesa.
Continuiamo il cammino, passiamo per Uchkeken, una città formata per il 92% da gente di etnia carachi, che, al ritorno dalle deportazioni del 1944, si è stabilita in questa città, contro la volontà del governo russo che premeva affinché ripopolasse le montagne che aveva lasciato
Territorio di Stavropol – I bagni termali
Verso mezzogiorno, dopo aver lasciato la Karačaj-Circassiaarriviamo a Essentuki, una importante città termale nel territorio di Stavropol, fondata nel 1825, in una zona turistica sviluppatasi a partire dai primi anni del 1800; lì ci attende un rigenerante bagno di fanghi al Centro di Balneoterapia, all’interno di un imponente edificio costruito tra il 1913 ed il 1915 sulla falsariga delle antiche terme romane: un’altra interessante esperienza, da inserire nel già archivio di souvenir del Caucaso.
Subito dopo pranzo, a Yessentuky, abbiamo un po’ di tempo libero per una passeggiata nel centro, fino ad un teatro all’entrata del parco di Kurortniy Glavny, poi partiamo verso la vicina cittadina di Pyatigorsk (in russo “cinque montagne”), fondata nel 1780, anch’essa importante centro termale.
Arriviamo poco dopo le 17 e prima di cena ci rimane il tempo per una breve visita della cittadina, modellata principalmente su progetti dei fratelli Bernardacci, due architetti di origine svizzera che operarono nei primi anni del 1800 in varie località attorno al Caucaso; la passeggiata inizia da un piccolo canale ed alcuni mini piscine naturali di acqua calda termale, usati dalla gente per “bagni termali” super economici, lungo la strada, in un parco pubblico che sovrasta, con una bellissima vista, la cittadina, molto verde e tranquilla; dopo cena facciamo due passi nei pressi dell’hotel fino ai piedi di una colossale statua di Lenin.
Trascorriamo la notte all’hotel Bristol di Pyatigorsk, l’ultima della prima parte del viaggio
28 settembre 2019
Incontro coi compagni di viaggio
Al mattino, “cambio della guardia”, per affrontare la seconda parte del viaggio che si concluderà a Derbent, in Daghestan: terminano il loro viaggio Fabio e Leandro (lombardi) con Marco, Alfredo e Michele (marchigiani), passando il testimone a Linda (dalla Lombardia) e Graziana (dal Trentino Alto Adige).
Salutati i partenti e fatte le presentazioni con le nuove arrivate, partiamo, di buon mattino, da Pyatigorsk con un percorso alternativo: infatti, a causa del maltempo, non è possibile effettuare il viaggio previsto in fuoristrada (le già conosciute UAZ), fino alle pendici del monte Elbrus, sostituito con la visita in minibus ad un altro versante dell’Elbrus, compresa una salita in seggiovia e cabinovia: non possiamo far alto che prendere nota del cambio di programma, sempre più convinti dell’intenzione, della dea bendata, di tenerci nascosto il gigante del Caucaso
Cabardino Balcaria – Tyrnyaus e la miniera
Dopo meno di mezz’ora, entriamo nella Repubblica Cabardino Balcaria, nella vallata del fiume Reka Baksan, diretti verso il Monte Elbrus, effettuando una prima fermata al mercato di Tyrnyaus per alcuni acquisiti.
La cittadina di Tyrnyaus, era, negli anni ’30, molto ricca ed importante grazie all’attività di una vicina miniera di molibdeno ed ai suoi minatori, categoria molto considerata ai tempi dell’Unione Sovietica, quasi a livello degli impiegati statali e del KGB; poco tempo fa, una grossa frana ne ha consigliato la chiusura, costringendo gli abitanti ad emigrare e trasformando l’abitato in una città dall’aspetto piuttosto inquietante, piena di enormi casermoni, semivuoti, di stile sovietico.
Cabardino Balcaria – Monte Elbrus (5642 mt)
Verso le 11 arriviamo ad Azau, a 2355 mt di altezza, punto di partenza di una cabinovia che risale le pendici del monte Elbrus; usiamo la cabinovia per salire fino al capolinea, a 3848 mt, da dove con un gatto delle nevi praticamente scoperto, saliamo a 4060 mt, ad un vecchio rifugio, campo base per scalare la montagna.
Neanche in questa occasione la dea bendata ci è favorevole, così durante tutta la salita e la successiva discesa, ma anche per il resto della giornata, la montagna rimane completamente avvolta dalle nuvole; unica, magra, consolazione, la copiosa nevicata sopra i 2500 mt che rende affascinante il paesaggio.
Sulla via del ritorno, all’altezza della prima stazione intermedia della cabinovia, alcuni squarci di sereno ci consentono di ammirare la neve ed i ghiacciai colpiti dai raggi del sole.
Verso le 13.30 ritorniamo alla base della cabinovia, convinti che il cambio di programma determinato dalle condizioni del tempo, non ci abbia affatto danneggiato; un’ora dopo ripartiamo verso il fondovalle.
Passando tra i centri abitati della vallata, la guida ci fa notare il fronte strada delle case: nella maggior parte dei casi si tratta di un muro continuo, interrotto solamente da un cancello, senza alcuna altra apertura; è una caratteristica tipica di questa zona, unica in tutta la Russia; ma, conclude la guida, nonostante questa chiusura esteriore, la gente è comunque molto ospitale.
Cabardino Balcaria – Nalchik e le armi circasse
Verso le 17, arriviamo a Nalchik, capitale della Cabardino-Balcaria, proprio mentre dal teatro Gosudarstvennyy Muzykal’nyy stanno uscendo alcuni gruppi folkloristici reduci dai festeggiamenti in onore alla giornata dedicata al Costume Circasso; ovviamente non possiamo fare a meno di approfittare dell’occasione per scattare fotografie molto interessanti a graziose fanciulle e baldi giovanotti in posa, in costume circasso, di fronte al teatro.
Poco dopo le 17 facciamo visita al laboratorio di Felix Nakov, ingegnere costruttore di microchips fino all’inizio degli anni ‘90, reinventatosi, per necessità, alla caduta dell’Unione Sovietica, come esperto di antiche armi circasse ed in particolare della shashka (“lungo coltello”, in lingua adighè), la sciabola tipica circassa, a metà tra una tipica sciabola (ricurva) ed una spada (diritta), l’arma più efficace del XIX secolo, adottata, nel 1834, anche dalla cavalleria russa. Anche Felix, come, in precedenza, il cosacco Michail ed il circasso Zamudin espone, con gentilezza e con dovizia di particolari, le caratteristiche principali della sua attività, spiegando le differenze principali tra shashka (del quale, nel frattempo, è diventato un abile maestro), spada, sciabola e daga, aggiungendo alcuni cenni storici alle relazioni commerciali della Circassia, soprattutto con Genova; nella seconda parte della visita, Felix mostra le sue capacità di spadaccino, senza chiedere , in questo caso, per ovvii motivi di sicurezza, la nostra partecipazione attiva alla esibizione.
Al termine, tutti quanti all’hotel Grand Caucasus di Nalchik, dove sono previsti la cena ed il pernottamento.
29 settembre 2019
Ossezia del Nord – Uastyrdzhi e Zadalesky Nana
Dopo una breve visita al mercato, verso le 10 lasciamo Nalchik per attraversare, un’oretta dopo, la frontiera con l’Ossezia del Nord; poi, nel villaggio di Chikola, lasciamo l’autista ed il suo minibus, sostituiti con 4 autisti ceceni ed altrettanti fuoristrada giapponesi (fortunatamente niente UAZ) di un’impresa cecena di Grosny; fatte le presentazioni, ripartiamo per quella che, in gergo ciclistico, potrebbe essere definita una “dura tappa di montagna”. Inizio tranquillo fino ad una gola, agli inizi della valle del fiume Tarek dove facciamo una breve fermata sotto la statua di Uastyrdzhi (San Giorgio, nel folklore dell’Ossezia), il santo patrono degli uomini e dei viaggiatori, figlio di un re degli Alani, rappresentato come un cavaliere su un cavallo d’acciaio che sovrasta la gola come se volasse giù da una ripida scogliera; la nostra guida non lo dipinge come un personaggio positivo, raccontando che ad una donna che aveva perso il marito offrì il suo aiuto economico per il funerale, a patto che lei diventasse sua sposa; inoltre, essendo la divinità degli uomini, non è consentito alle donne invocarlo col suo nome, ma solo come “il dio degli uomini”.
Proseguiamo sul fondovalle per una decina di minuti verso monte, fino a imboccare una stradina sterrata, stretta e piuttosto ripida fino a Zadalesk, il villaggio dal quale proviene Zadalesky Nana, una donna protagonista di una ballata osseta (della quale non è stato tramandato alcuna testimonianza scritta) che, ai tempi dell’invasione delle truppe del sanguinario Tamerlano (1395), raccolse i bambini rimasti orfani e li nascose in una grotta, nutrendoli con piante e bacche e riscaldandoli con il suo amore e affetto sincero; quando i bambini crebbero, fondarono nuovi villaggi, ripopolando le vallate dell’Ossezia.
Ossezia del Nord – La montagna
Dopo la breve visita al villaggio Zadalesk, proseguiamo per la stessa strada fino ad un castello diroccato del XV-XVI secolo, dove ci fermiamo a pranzare (picnic), circondati da splendidi paesaggi caucasici d’alta quota; approfittiamo della sosta per approfondire la conoscenza degli autisti, 4 caratteristici personaggi ceceni simpatici ed estroversi, ma anche un po’ enigmatici, forse perché completamente “digiuni” di inglese o, più probabilmente, perché provenienti da una terra che negli ultimi anni ha vissuto momenti molto travagliati.
Nel bel mezzo di questo momento di particolare euforia (compresi gli effetti di un ottimo vino bianco locale), arriva da Dima e Piero la notizia di un cambio di programma: non hanno concesso i permessi per entrare in Ossezia del sud: sappiamo che la regione che stiamo visitando può presentare in ogni momento, qualche problema organizzativo, per cui incassiamo il contrattempo e continuiamo il pranzo.
Terminata la sosta, proseguiamo la salita sulla stessa strada sconnessa, accompagnati da splendidi panorami di vette innevate e qua e là, sul versante opposto, da piccoli villaggi medioevali, ciascuno con la propria torre centrale di difesa, i primi di una lunga serie di villaggi fortificati che vedremo nel seguito; di fianco alla stradina che stiamo percorrendo, qua e la, vediamo cripte, lapidi dalla figura umana e cumuli di pietra per le sepolture, appartenenti a diversi periodi storici.
Le auto continuano a salire lentamente, ma senza tentennamenti, portandoci al di sopra delle nuvole (fortunatamente poche), là dove gli alberi ormai non hanno più la forza crescere; proseguiamo fino a quasi 1800 mt per poi scendere rapidamente fino ad un villaggio abbandonato (forse Galiath) e risalire nuovamente, fino alla “cima Coppi”, a 2500 mt di altezza, dove ci attende la splendida calda luce del tramonto, con un’atmosfera particolarmente limpida e frizzante.
Poi scendiamo, in tutta scioltezza, fino ai 1200 mt dell’hotel Vertikal, a Verkhniy Tsey nella valle Tsey; uno strano hotel quasi vuoto, lontano da centri abitati, con una discoteca “per pochi intimi” ed ampie scalinate, illuminate da una moltitudine di led variamente colorati, unico mezzo per arrivare al terzo piano.
30 settembre 2019
Ossezia del Nord – valle di Tsey – Santuario Rekom
(giornata alternativa alla visita dell’Ossezia del sud )
Al mattino partiamo, non molto presto, per una breve passeggiata nei boschi, della valle del Tsey, non molto lontano dall’hotel; una decina di minuti in auto, poi iniziamo un sentiero, fortunatamente a partire dal punto più in alto (siamo a 2000 mt di altezza), completamente circondato dai colori dell’autunno, per di più illuminati da una bellissima luce che conferisce maggior risalto al foliage in corso. Ogni tanto il diradarsi del fogliame consente la vista della vallata circostante, con vette e ghiacciai innevati di fresco o enormi rocce dall’aspetto di terribili mostri; ai lati del sentiero alcune strutture misteriose, di grande significato mistico, costituiscono il Santuario di Rekom, costruito negli anni ‘1990 senza l’ausilio di chiodi né di altri attrezzi di ferro, con i tetti decorati con sagome di uccelli; la struttura precedente era stata distrutta da un fulmine, provocato, secondo alcuni, dalla collera della divinità, Rekom, il protettore del popolo degli Ossezi.
Alle donne è rigorosamente proibito visitare questi luoghi sacri.
Secondo la nostra guida, una volta all’anno in questi luoghi si riuniscono i cristiani (circa 2000), che uccidono animali e bevono birra sacra: aggiunge inoltre Dima, che, secondo la forma delle strutture, la religione che qui si pratica potrebbe riferirsi al cristianesimo scandinavo.
Ossezia del Nord – valle del Tsey – Lisri
Scesi fino a Buron, nel fondovalle, dove il fiume Tsey sfocia nel fiume Ardon, imbocchiamo, per una quindicina di km, la strada P297, fino a Tsmi, per poi risalire lungo una valle parallela a quella del Tsey; qui incontriamo dapprima un enorme sanatorio mai completato a causa del collasso dell’Unione sovietica, diventato dimora di una famiglia di …. cavalli; di fronte all’edificio assaggiamo un’acqua minerale, che sgorga da un tubo di gomma che esce dal terreno, con un marcato sapore ferruginoso ed un alto grado di effervescenza; qualcuno corre il rischio e prova a bere quest’acqua: fino al termine del viaggio non si hanno notizie di particolari conseguenze, a parte un evidente gusto strano in bocca.
Per aggiunge un po’ di interesse al luogo, la guida ci informa che, da queste parti, nel villaggio di Tib, è nato Yuri Kuchiev, il capitano che ha portato il primo rompighiaccio russo, Arktika, al Polo Nord.
Proseguiamo verso monte, arrivando fino a quasi 2000 mt di altezza, al villaggio diroccato di Lisri, in una gola chiamata Mamison; passeggiamo tra le case, una volta abitato dal fiero popolo degli Alani, al nostro arrivo solo da un gregge di pecore; due sono le immagini che più vale la pena ricordare: una chiesa cristiana, donata al villaggio dal re della Georgia, alla quale fa da sfondo una cima del Caucaso, completamente ricoperta di neve e ghiaccio, e, un po’ appartato un cimitero cristiano del XVII-XIX secolo.
Riscendiamo a valle per percorrere ancora un tratto della strada P297 fino al museo della casa natale di Konstantin (Kosta) Chetagurov, poeta e leader del movimento di valorizzazione dell’Ossezia, poi ritorniamo a Buron per imboccare all’inizio della valle Tsey, una stradina ripida, stretta e sconnessa che, quasi a passo d’uomo, ci porta fino al Picco del Turista (2850 mt), circondato da splendidi paesaggi di alta montagna.
Un rapido “rinfresco” con te molto caldo (in cima soffia un vento forte e gelido), mentre assistiamo ad un affascinante tramonto, poi riscendiamo a valle per raggiungere nuovamente l’hotel Vertikal, per la cena ed il pernottamento
1 ottobre 2019
Ossezia del Nord – fortezze rocciose di Ursdon
Al mattino ripercorriamo la strada P297, verso valle, fermandoci a Mizur, un piccolo villaggio la cui economia si basava, nel periodo dell’Unione Sovietica, sull’attività di estrazione mineraria, da menzionare anche per la presenza, ormai poco comune in Russia, di una delle poche immagini esposte di Stalin (nato a Gori, in Georgia, a 135 km di qui), rimaste in Russia; qui è un busto di Stalin vicino ad un profilo di Lenin.
Continuiamo a scendere, fin quasi al termine della vallata, dove imbocchiamo una delle frequenti stradine sterrate, strette e ripide che portano ai villaggi di montagna e che ormai abbiamo imparato a conoscere.
Dopo poco più di mezz’ora giungiamo di fronte ad una grande parete rocciosa in mezzo alla quale si distinguono, a malapena, rovine di antiche costruzioni di pietra chiamate le fortezze rocciose di Ursdon.
Erano questi i luoghi dove, nel XIII secolo, gli Alani si rifugiarono, cercando di sfuggire (senza riuscirci) alle orde dell’impero mongolo, proprio mentre era in corso la loro cristianizzazione.
Passiamo in mezzo ad un gruppo di tombe, dalle strutture differenti, anche in relazione all’estrazione sociale del defunto, che offrono alla guida lo spunto per illustrare l’evoluzione delle sepolture presso gli Alani: all’inizio i corpi venivano completamente interrati e ricoperti da cumuli di terra, poi, si passò a costruire lapidi o altre strutture sopra la tomba, fino alle ultime usanze (XVII-XVIII secolo) che prevedevano un monumento funebre completamente fuori terra; di fronte a noi vari esempi dell’evoluzione di queste diverse consuetudini, anche in funzione dell’agiatezza economica del defunto.
Mentre siamo intenti ad osservare lo spettacolo che ci circonda, riceviamo la visita, molto gradita, di un abitante del luogo, un vecchietto dalla lunga barba grigia, con un’età indefinita variabile tra 85 e 95 anni, erede di quel popolo di Alani che qui si rifugiarono 8 secoli fa.
Dopo qualche minuto di dialogo quasi inesistente con il personaggio, proseguiamo il nostro cammino, protetti da un’immagine di Uastyrdzhi (San Giorgio) lungo la strada, fino ad un passo di oltre 2100 mt, probabilmente il Pereval Arkhonskiy, per poi scendere nella Valle del Sole a pranzare all’omonimo hotel confortevole, isolato, con ampi spazi, molto gettonato per eventi e riunioni aziendali tipo full-immertion.
Ossezia del Nord – necropoli di Dargavs
Dopo pranzo, partiamo verso Vladikavkaz, la capitale osseta, con due prime brevi tappe intermedie: un Monastero Alano, costruito una sessantina di anni fa, ed una piccola vallata laterale pubblicizzata per una cascata (Lednik Midagrabin) alta 750 mt, completamente secca: il disgelo dell’omonimo ghiacciaio, per aveva esaurito le sue funzioni di riferimento! Il sito si trova a 5 km dal confine con la Georgia.
Continuiamo il trasferimento fino alla necropoli di Dargavs, la “città dei morti”, uno dei luoghi più inattesi e sorprendenti di tutto il viaggio. Un insieme di 99 diverse tombe e cripte alle cui spalle si erge una torre con la punta diroccata; non è chiara l’età delle prima costruzioni (chi dice XII secolo, altri XIV secolo, altri ancora XVI secolo), ma si sa di certo, specifica la guida, che il cimitero è stato molto utilizzato, in conseguenza di una grande epidemia di peste, nel secolo XVII fino agli anni ’20 del secolo XVIII, quando la gente malata si recava direttamente tra le tombe per lasciarsi morire; poi è caduto in disuso.
Molte sono le storie che si raccontano a proposito di Dargavs come quella, continua Dima, assicurandone la veridicità, di un uomo avvicinatosi ad una tomba per lasciarsi morire e che parenti e amici cercarono di convincere a recedere dal proposito, l’ultimo tentativo, fatto con l’amante, riuscì nel proposito.
All’interno delle cripte i corpi venivano inseriti dentro una barca di legno (molto simile ad una bara) per favorirne il trapasso nell’aldilà. Il cimitero è ancora oggi un luogo di culto da parte della popolazione locale, per cui siamo invitati ad usare il massimo rispetto, evitando di fotografare gli interni delle cripte.
Una parte del gruppo rimane a Dargavs fin dopo il tramonto, per godersi lo spettacolo del sole che illumina i monumenti funebri, un’altra parte decide di scendere prima, riuscendo ancora ad apprezzare, alla luce del sole, le bellezze della gola che si percorre scendendo fino a Vladikavkaz.
Verso le 20 il gruppo si riunisce a Vladikavkaz, per la cena, poi tutti a letto all’hotel Aleksandrovski.
2 ottobre 2019
Ossezia del Nord – Vladikavkaz
Giornata di visita alla città di Vladikavkaz (310.000 abitanti, 65% Osseti e 24,5% russi), la capitale della Repubblica dell’Ossezia settentrionale – Alania, città prevalentemente industriale, fondata nel 1784, e punto di collegamento tra la Russia e le repubbliche di Georgia (stradale) ed Azerbaigian (ferroviario).
Iniziamo con una passeggiata, soprattutto lungo la Prospekt Mira, la via principale del centro, fino al Museo Nazionale dell’Ossezia del Nord, proseguita, in minibus, fino alla chiesa ortodossa della Natività della Vergine (1815), dov’era in corso una cerimonia religiosa) e poi alla moschea Mukhtarov (1906); verso le 11, tornando all’hotel, facciamo una tappa al Centro di Arte Contemporanea, poi ci spostiamo, in autobus, ad una scuola di danza dove assistiamo (ed in parte anche partecipiamo) ad una breve esibizione di balli caucasici da parte di una coppia di ballerini, normalmente dediti, apparentemente, alla danza classica.
Ci spostiamo in un ristorante, non lontano dalla scuola di danza, dove, in attesa del pranzo, assistiamo e partecipiamo (qualcuno del gruppo, su invito della donna) alla preparazione, da parte di una cuoca, del famoso kachapuri, un pane farcito, tipico della cucina georgiana. Durante il pranzo, per separare una portata dall’altra, non ci propongono un sorbetto, ma una serie canti popolari locali, intonati, con grande maestria e capacità vocale, da veri professionisti, da un coro di 5 ragazzi del posto, seduti al nostro tavolo.
Il pomeriggio, meno “intenso” della mattinata, ci porta a visitare un museo etnico – storico, poi, dopo una breve passeggiata, un centro di giovani artigiani/artisti per terminare, poco dopo, con la cena in una specie di pub ricavato in una fabbrica produttrice di birra artigianale.
Pernottamento all’hotel Aleksandrovski, sulla Prospekt Mira, una via centrale di Vladikavkaz
3 ottobre 2019
Inguscezia – il paese delle torri: Erzi
Mattinata libera in relax che qualcuno occupa andando a visitare la stazione ferroviaria di Vladikavkaz ed un piccolo mercatino nelle vicinanze. Il ritrovo è all’hotel, da dove ci spostiamo poco dopo ad un mercato alimentare dove gli autisti fanno gli acquisti per il pranzo-picnic previsto poco più tardi; il gruppo, invece, si riunisce per salutare Dimitri (Dima) che torna a Mosca, per impegni, e dare il benvenuto al suo sostituto Vladimir , un professore di Mosca che vive provvisoriamente in Dagestan, dove sta scrivendo un libro; alle 12.30 riunito tutto il gruppo, compresi autisti, guida ed accompagnatore, imbocchiamo la strada diretta in Georgia; 40 minuti più tardi, subito dopo l’abitato di Chmi, svoltiamo a sinistra, lasciando la strada principale, attraversiamo il fiume Terek , e subito dopo, passato il controllo dei passaporti, entriamo in Inguscezia e risaliamo la valle del fiume Armkhi. Dopo poco tempo stiamo nuovamente inerpicandoci su uno dei frequenti sterrati, stretti e ripidi, per raggiungere, questa volta senza percorrere tanta strada, un piccolo villaggio antico fortificato, formato da un gruppo di torri di difesa, di varie forme ed altezze, chiamate anche torri di Erzi, nella terra dei Vainaki (un termine che comprende le due etnie degli ingusci e dei ceceni). Si ritiene che proprio sulle montagne dell’Inguscezia abbia avuto inizio la tradizione della costruzione delle torri di avvistamento/difesa, poi estesasi a tutto il Caucaso, con particolare riferimento proprio a questa regione dell’Inguscezia ed a Ushguli, nella regione dello Svaneti, in Georgia.
Mentre gli autisti preparano il pranzo, facciamo una passeggiata tra le rovine, scoprendo, con l’aiuto della guida, le differenze tra i vari edifici: più diroccati quelli più antichi, risalenti a più di 1000 anni fa; larghe, basse e leggermente strette nella parte superiore, le torri di abitazione; alte e snelle quelle di avvistamento.
Dopo pranzo ci spostiamo in un altro gruppo di torri, duecento metri più in alto, dalle quali si gode un panorama eccezionale sul primo “villaggio” e sulla valle sottostante, del fiume Armkhi, uno dei 4 principali fiumi (insieme con Assa, Sunža e Terek)che scorrono lungo la piccole Repubblica dell’Inguscezia.
Lasciamo i due “villaggi turriti” e scendiamo al fondovalle per raggiungere l’hotel previsto per questa notte.
Il pranzo ci viene servito a casa di un amico di uno degli autisti, mentre il pernottamento è all’hotel Armkhi.
4 ottobre 2019
Inguscezia – paese di torri (Egikal), chiese (Tkhaba-Yerdy) e castelli (Vovnusky)
Partiti relativamente presto dall’hotel, ripercorriamo, verso monte, la valle del fiume Armkhi fino ai 2066 mt di altezza della terrazza panoramica Smotrovaya S’Besedkoy, in corrispondenza del passo che introduce alla valle del fiume Assa. Ci fermiamo per un po’ di tempo, con la vista e le macchine fotografiche che spaziano a 360°, poi scendiamo lungo l’altro versante, fino al Bashennyy Kompleks, ad Egikal (fortezza di Egi, attiva tra il XIII ed il XVIII secolo), un altro importante “villaggio turrito” inguscio, che ci offre alcuni evidenti spunti storici ed architettonici come un foro, su un muro, provocato da un proiettile di artiglieria, segno evidente che questi villaggi avevano ormai esaurito la loro funzione difensiv, o alcune tombe cristiane, praticamente abbandonate, o ancora, i fori, all’interno delle fortezze, ai quali venivano appoggiate i travi di sostegno dei pavimenti.
Terminata la visita, riprendiamo la strada principale, per svoltare, quasi subito, verso destra ed imboccare una strada sterrata, questa volta decente e pianeggiante, fino a Tkhaba-Yerdy, la più grande, chiesa cristiana dell’Inguscezia e, secondo la guida, la seconda più vecchia della Russia; la chiesa fu restaurata, per la prima volta, nel VIII-XIX secolo, ma si ritiene possa risalire ad un periodo anteriore, mentre l’attuale struttura è il risultato dell’ultimo restauro, avvenuto nel XV-XVI secolo.
Siamo ai confini con la Georgia (forse a meno di 10 km) e tutta l’area attorno alla chiesa è zona militare, come confermano la presenza di una caserma, lungo la strada, e gli spari a raffica che, durante la visita, abbiamo sentito, non molto lontano, in vallata.
Proseguiamo lungo la strada sterrata, fino alla prossima tappa: le torri medioevali Vovnusky (in lingua inguscia: “un luogo per torri da combattimento”), nel canyon Ozdi-Chozhd, due torri militari inattaccabili (a volte considerate un castello) che, nei tempi antichi, secondo la leggenda, erano collegate con un ponte sospeso; strutturate su 4 piani, con tetto piatto, sono state costruite direttamente sulla roccia, quasi come se ne facessero parte.
Alcuni minuti per visitare, nei pressi delle torri, alcune cripte funerarie, una delle quali con la copertura ad ogiva, non molto comune in Russia, probabilmente appartenente ad un uomo importante, poi ritorniamo per la stessa strada, fino alla strada principale di fondovalle, dove svoltiamo a destra, verso Groznyj.
Cecenia – Urus Martan e Grozny
Dopo aver superato altri piccoli villaggi di torri medioevali, attraversiamo, verso mezzogiorno, la frontiera con la Cecenia, diretti a Urus Martan, dove siamo ospiti, per pranzo, a casa di Adam Satuev, un “personaggio” con un passato da lottatore di wrestling, che ha creato il Dondi Yurt, un modesto, ma singolare museo storico ed etnografico a cielo aperto (che visitiamo dopo pranzo), che preserva la storia della Cecenia per le future generazioni, e che raccoglie, tra l’altro, antichi attrezzi domestici, strutture costruite con lo stile architettonico tradizionali e molti altri oggetti legati alla vita del popolo ceceno.
Alle 15.30 ripartiamo verso l’hotel dove arriviamo percorrendo a piedi l’ultimo centinaio di metri, ciascuno con il proprio bagaglio, in quanto la zona attorno all’hotel, nel centro di Grozny, è chiusa al traffico per sicurezza, in previsione di una festa importante prevista il giorno dopo; in realtà, aggiunge la guida Vladimir, le feste sono 3, concentrate nello stesso giorno: 201° anniversario della Republica di Cecenia, il compleanno del Presidente e la Festa degli insegnanti.
Prima di cena abbiamo ancora il tempo per fare una passeggiata nei dintorni dell’hotel (che comprendono, tra l’altro, una bellissima piazza piena di fiori ed un belvedere al 29° piano in cima al grattacielo di fronte all’hotel). La cena ed il pernottamento sono previsti al Grozny City hotel, nel centro di Grozny
5 ottobre 2019
Cecenia – Grozny
Al mattino, visita a piedi, al centro della città di Grozny, abbastanza concentrato nei dintorni dell’hotel.
Iniziamo subito con la moschea Akhmad Kadirov, detta anche “Il cuore della Cecenia”, una delle più grandi della Russia, costruita nel 2008 con uno stile che ricorda parecchio la Moschea Blu di Istanbul. Al suo interno è esposto, in una teca, oggetto di preghiera e di adorazione, un pelo della barba di Maometto.
A seguire, attraversiamo piazza Kadirov per visitare il Museo di Akhmat Khadzhy Kadyrov, sulla vita del primo presidente della Repubblica di Cecenia, padre dell’attuale presidente.
Usciti dal museo, attraversiamo un parco con un monumento (senza alcun nome) dedicato ai giornalisti che hanno combattuto per la libertà, per raggiungere, in via Lenin, un ristorante tradizionale, per il pranzo.
Cecenia – Le donne
Durante la passeggiata, vediamo, lungo le vie principali, parecchi cartelli con le foto degli edifici distrutti o crivellati di colpi, esposte a testimonianza delle distruzioni conseguenti alle due Guerre Cecene, combattute a cavallo tra il II e III millennio. Notiamo anche che le strade sono frequentate da molte più donne che uomini, conseguenza, ha detto la guida, non dei morti (uomini) delle due guerre, ma della maggior occupazione, al lavoro, delle donne, che quindi devono spostarsi più degli uomini.
In famiglia, ha inoltre aggiunto la guida, chi comanda è formalmente l’uomo, mentre in pratica, spesso, è la donna, come ieri, al museo Dondi Yurt, dove Adam ci ha fatto gli onori di casa, ma sempre ricevendo ordini dalla moglie.
Cecenia – Storia di guerre
Il popolo ceceno insieme con quello degli Ingusci, discende dai Vainachi, un’antica tribù che per secoli ha abitato i territori del Caucaso. Inizialmente di fede cristiana, ritornarono poco per volta, dopo l’invasione delle truppe mongole, ai loro originali riti pagani, fino a che, nel XVI-XVII secolo, a seguito dell’espansione araba nel Caucaso, abbracciarono la religione islamica (sunnita). Con Pietro il Grande (primi anni del XVIII secolo) iniziò l’interesse della Russia verso il Caucaso, che si concretò con l’annessione da parte di Caterina II, a seguito della “Guerra del Caucaso” (1817-1864), nonostante la resistenza delle popolazioni locali guidate nel XVIII secolo da Mansur e nel XIX secolo dagli imam, capeggiati dall’Imam Shamil.
I Ceceni non smisero mai di lottare, come nel 1917, quando, approfittando dello scoppio della rivoluzione d’ottobre, fu proclamata l’indipendenza di un effimero Emirato del Caucaso; o come nel 1942, quando i Ceceni appoggiarono le truppe naziste arrivate a poche centinaia di km dal loro territorio. A causa di questo “tradimento”, Stalin condannò il popolo ceceno alla deportazione in Asia centrale, attuata ad inizio 1944.
Nel 1956 il “popolo ceceno” fu perdonato ed ai Ceceni fu concesso di tornare alle loro terre, che però, nel frattempo, erano state occupate da altri, in genere russi, incentivati a trasferirsi nei territori lasciati vuoti, con cimiteri distrutti e lapidi usate per lastricare le strade.
Alla caduta dello stato sovietico negli anni ‘1990, iniziò l’opposizione alla Russia, che vide l’ascesa della figura di Dzhokhar Dudaev che nel 1991 dichiarò l’indipendenza dalla Russia.
Il governo di Dudaev generò molta criminalità e corruzione che alimentarono l’opposizione interna, anche armata, della quale approfittarono i russi di Eltsin, che dichiararono, nel 1994, la prima Guerra Cecena, terminata nel 1966 con l’uccisione di Dudaev. Dopo di lui la situazione cecena rimase piuttosto “complicata”, tanto che i russi, di Putin, con la scusa di un’azione militare cecena in Daghestan, dichiararono, nel 1999, la seconda Guerra Cecena, terminata formalmente nel 2009.
Cecenia – Kadirov
Nell’ambito della seconda Guerra Cecena, si inserisce Akhmat Kadyrov, molto amato dai Ceceni, nato nel 1951 nella Repubblica Socialista Sovietica Kazaka, da una famiglia cecena deportata, nel 1944, da Stalin.
Nel 1957 riuscì a tornare, con la famiglia, in Cecenia e dal 1980 iniziò a studiare i precetti dell’Islam soprattutto nella Repubblica Socialista Sovietica Uzbeka. Kadyrov ha combattuto a fianco del separatista Dudaev, nella prima Guerra Cecena (1994-96), e della Russia, nella seconda Guerra Cecena (1999-2009) e quando, nel 2000, la Russia riacquistò il controllo della regione, fu nominato da Putin capo della nuova amministrazione provvisoria; nel 2003 fu eletto, con l’83% dei voti, Presidente della neonata Repubblica Autonoma di Cecenia. Morì nel 2004 a seguito dello scoppio di una bomba durante una parata.
Cecenia – Verso le montagne tra Cecenia e Dagestan
Dopo il pranzo, ritorniamo a piedi fino all’hotel per prendere i bagagli, poi un taxi ci porta fino alle auto, parcheggiate un po’ distanti dal centro, chiuso per la triplice festività.
Ci dirigiamo verso Argun a visitare la moschea, inaugurata nel 2014, dedicata ad Haja Aymani Kadyrova, moglie di Akhmat Kadyrov e madre dell’attuale presidente; anche in questa moschea osserviamo, in una teca, una reliquia del Profeta: un capello.
Proseguiamo il viaggio verso le montagne cecene facendo tappa ad un monumento a Zelimkhan Kharachoevsky (1872-1913), un fuorilegge ceceno divenuto famoso per le rapine ai treni ed alle banche compiute in nome della lotta contro le autorità russe e mitizzato, prima dai bolscevichi poi dai ceceni, come una versione locale del più famoso Robin Hood.
Dopo il monumento inizia la salita, questa volta su un’ampia strada asfaltata, fino ad un passo a 2200 mt di altezza, per poi ridiscendere, attraverso un breve tratto in territorio dagestano, verso il lago Kezenoyam, ad un’altitudine di 1870 mt, la cui acqua, molto pulita, gela in inverno e d’estate non supera 5°C.
Ci fermiamo a cenare e pernottare all’hotel Kezenoy, poco sopra il livello del lago.
6 ottobre 2019
Dagestan – Burka (mantello) e urbech (dolce)
Partiamo di buon mattino per fermarci, dopo mezzoretta di viaggio, a casa di una coppia di contadini ceceni deportati in Kazakistan durante la II Guerra Mondiale e tornati, dopo la fine del conflitto, alla loro terra; in inverno vivono nei pressi di Grozny e salgono su questo altipiano per pascolare il loro bestiame. Troviamo la tavola imbandita con un’abbondante colazione: pomodori, cetrioli, olive, te, caffè e, ciliegina sulla torta, una spettacolosa “formaggetta” fatta da loro, innaffiati con aranciata e succo di prugne: peccato non poterne approfittarne appieno, dal momento che avevamo già fatto colazione all’hotel!
Ripartiamo poco prima delle 10 ed un quarto d’ora dopo ci troviamo, quasi senza rendercene conto, senza alcuna barriera, nè formalità burocratica, in Dagestan.
Scendiamo dall’altopiano e poco dopo ci troviamo a Rakata a visitare una piccola fabbrica artigianale di burka, un capo d’abbigliamento tipico del caucaso (che avevamo già provato a Majkop, nel piccolo museo di Zamudin) fatto in feltro, soprattutto di lana di pecora karakul; poco ingombrante, può essere facilmente arrotolato e trasportato attaccato alla sella.
Poco lontano, nello stesso villaggio, visitiamo un mulino ad acqua, costruito da un ricco signore venuto a vivere da queste parti e messo a disposizione della gente del posto e dei (pochi) turisti; vengono macinati soprattutto semi di albicocca che, con semi di lino ed un po’ di miele, formano una perfetta combinazione per l’urbech, uno squisito dolce locale, tipo “Nutella”.
Continuiamo a scendere lungo la vallata, in mezzo a numerose macchie di alberi di pesco, già “vestiti d’autunno” con i bellissimi colori giallo e rosso, tipici della stagione.
Proseguiamo fino a Botlikh, per pranzare, poi a Kvankhidatli, per vedere, dall’altra parte del fiume, una piccola miniera a cielo aperto di sale, estratto da un gruppo di gente che non ha altre risorse se non quelle, misere, che derivano loro da questa attività.
Dagestan -L’Imam Shamil
Continuiamo fino alla zona di Akhulgo, che nel 1839 fu testimone della più sanguinosa (ed una delle più complesse) battaglia combattuta durante la Guerra del Caucaso (1817–1864), guerra con la quale l’Impero Russo vinse ed annesse gli stati del Caucaso settentrionale; furono coinvolti, nella battaglia contro le truppe russe, 4000 seguaci dell’Imam Shamil (comprese donne, bambini e vecchi), che riuscì a fuggire in Cecenia.
Dagestan -Gunib
Lasciamo Akhulgo e dopo un breve tratto facciamo una deviazione per visitare, nel villaggio di Untsukul, il laboratorio di un artigiano locale, definito, dalla guida, unico in Dagestan, specializzato nei lavori in legno decorati con intarsi di alpacca; poco dopo le 16.30 ripartiamo per Gunib la destinazione finale di oggi.
Arrivando dal basso, Gunib appare come un “villaggio verticale”, come se fosse incollato ad una parete piuttosto ripida, una sorte di “villaggio vicino al cielo”; per arrivare all’hotel, in cima alla roccia, percorriamo la strada principale con una lunga arrampicata che passa in mezzo alle case, scoprendo che in effetti lo spazio a disposizione degli abitanti per vivere è molto maggiore di quanto non apparisse dal basso.
Arriviamo all’hotel Nido dell’Aquila (Gunlib), a 1382 mt di altezza, dove ceniamo e trascorriamo la notte.
Dagestan – Varietà etnica e varietà linguistica
In Daghestan vive una quindicina di gruppi etnici, suddivisi, a grandi linee, in gruppi di origine caucasica (intorno al 75% della popolazione del Daghestan), gruppi di origine turca (il 21% della popolazione) e russi (il 3,6%); la varietà è ancora più ampia se si fa riferimento all’idioma, che in Daghestan comprende, oltre al russo, più di 30 lingue caucasiche nordorientali, la maggior parte delle quali appartenente alla famiglia delle lingue nakho-daghestane, che comprendono anche le lingua cecena e la lingua inguscia.
7 ottobre 2019
Dagestan -L’Imam Shamil
Al mattino, ci rechiamo subito a visitare il luogo in cui, nel 1859, l’Imam Shamil (nato a Gimry, a 70 km da Gunib), dopo la sconfitta, si arrese all’esercito russo.
L’Imam Shamil, personaggio di spicco nell’area del Caucaso Settentrionale, guidò, dal 1834, la lotta dei montanari del Caucaso (sua regione natale), per l’istituzione della legge della Sharia e l’indipendenza dall’impero russo (Imamato del Caucaso); questa teocrazia durò per 25 anni, fino alla sua resa a Gunib, nel 1859, convinto ormai dell’inutilità della lotta contro le schiaccianti forze russe. Fu condotto a Mosca dove (dice la guida) visse una vita piuttosto agiata, fino alla sua morte, nel 1870, durante un pellegrinaggio alla Mecca, autorizzato dallo Zar in persona.
L’attività eversiva di Shamil, aggiunge la guida, ha in un certo qual modo favorito l’Impero Russo, che si è trovato a combattere un solo nemico (l’Imamato del Caucaso), invece di una quantità di gruppi eterogenei e variamente dispersi sul territorio.
Dagestan – Le montagne e l’etnia degli Avari
Lasciamo l’hotel e facciamo tappa nel centro di Gunib per visitare un piccolo museo etnico con oggetti antichi di provenienza locale (vestiti, brocche, vassoi, strumenti medici etc), preceduto da una sala con un’esposizione di figure di lottatori di wrestling, dei quali il Daghestan è una importante fucina.
Al termine, continuiamo verso la base della rocca di Gunib per un’altra avventura sulle montagne del Daghestan; passati ai piedi del villaggio di Chokh (XIX secolo), incontriamo, poco più avanti, un nutrito gregge di pecore che si muoveva lentamente sul fondovalle, molto ben mimetizzato tra i massi che affiancavano il letto di un piccolo fiumiciattolo; dopo 1 ora di auto, per percorrere i 30 km che la separano da Gunib, arriviamo a Sogratl, villaggio rurale di 2300 abitanti, principalmente di etnia àvara, un tempo molto famoso per i suoi scienziati e per una magnifica madrasa (scuola coranica) molto importante (negli anni ’60 c’erano 650 studenti) ed ancora oggi abbastanza frequentata, nonostante la sua posizione non facilmente né rapidamente raggiungibile, da un centinaio di studenti, molti dei quali, raggiunto il diploma, continuano i loro studia nelle migliori università della Russia.
Noi visitiamo un piccolo museo di vecchi oggetti domestici di uso comune (ferri da stiro, forbici, accette, anfore di metallo etc) ed una delle aule, dove si sta tenendo una lezione, poi scendiamo verso valle per il pranzo, preparato e servito, da una coppia del posto, in una piccola area picnic, attrezzata per cucinare (forni, fornelli e bracieri) e per mangiare (sedie e tavoloni), messaci a disposizione.
Dagestan – Gamsult, il Machu Picchu del Caucaso
Dopo pranzo il programma prevede un’escursione al “Machu Picchu” del Daghestan. Sono quasi le 14 e partiamo con molta curiosità per l’avventura: ripassiamo da Sogratl e continuiamo a salire fino a 1900 mt, qualche metro sotto le nuvole; di fianco alla vecchia carcassa di una UAZ, senza ruote e senza tettuccio, i nostri autisti ci fanno scendere dai loro comodissimi fuoristrada e ci danno appuntamento dall’altra parte della montagna: si sono ammutinati? Piero ci rassicura e ci invita a procedere dietro di lui; a piedi superiamo un’altura per poi scendere, gradatamente lungo l’altro versante. Dopo aver superato un affollatissimo gregge di pecore, controllato da alcuni cani dall’aspetto non proprio rassicurante, scendiamo verso Gamsult, un villaggio diroccato completamente disabitato, costruito a 1700 mt su un grosso sperone di roccia,: il confronto col Machu Pichu, seppure un po’ ottimistico, è effettivamente calzante: anche qui arriviamo, dall’alto, alle spalle di una vecchia città disabitata.
Ci soffermiamo per un po’ a passeggiare tra le case, abbandonate negli anni ‘60/70 del XX secolo, nell’ambito di un programma statale di riposizionamento delle popolazioni montane in luoghi più confortevoli e, soprattutto, in grado di consentire una gestione più economica dell’abitato.
Una foto all’ultima casa abitata, il cui proprietario è mancato nel 2014, poi ricominciamo a scendere per ricongiungerci, mezzora dopo, con i nostri autisti, che non ci avevano abbandonato e che nell’attesa che arrivassimo avevano acceso un bel fuoco per riscaldarsi: sono le 17 e l’aria è già piuttosto frizzante.
Terminata questa bellissima passeggiata, ripartiamo in auto diretti a Gunlib, all’hotel Nido dell’Aquila, per la cena ed il pernottamento
8 ottobre 2019
Daghestan – Balkhar e l’etnia dei Lak
Salutiamo la zona degli Avari e continuiamo il viaggio sulle montagne del Daghestan, arrivando alla gola Saltinskaya, all’interno della quale, dopo una breve passeggiata, ci troviamo di fronte ad una piccola cascata, chiamata Salta, quasi secca (in questo viaggio non siamo fortunati con le cascate!).
Continuiamo il nostro viaggio, fermandoci ogni tanto per ammirare il panorama che ci circonda, come alcuni terrazzamenti coltivati sorvolati da parecchi avvoltoi, attratti da un cimitero di bestiame, quasi a cielo aperto, che si trova non lontano dal punto dove ci siamo fermati.
Verso le 12, poco prima di entrare a Balkhar (a circa 1700 mt di altezza), ci fermiamo ad un punto panoramico per ammirare, dall’alto la spettacolare vallata appena percorsa ed i tornanti che ci hanno consentito di salire fino al villaggio.
Entriamo nell’abitato, popolato dall’etnia Lak e, lasciate le auto, facciamo una breve passeggiata fino ad una bottega di ceramica; il tratto di strada che percorriamo ci presenta uno spaccato, seppur ridotto, della vita del villaggio e di alcune sue abitudini, come quella delle verande di vetro (nel paese se ne vedono molte) o quella di mettere lo sterco degli animali a seccare sui muri, utilizzandolo anche come forma di decorazione, modalità osservate in moltissime altre parti del mondo, soprattutto nelle zone di scarse risorse, dove risulta difficile l’approvvigionamento di legname da bruciare.
Dopo una breve dimostrazione sulla fabbricazione tradizionale di vasi di terracotta da parte di una donna (le donne, per questa attività sono più richieste degli uomini) ci spostiamo in una vicina casa-museo, con innumerevoli piatti di ceramica, anfore di terracotta e di metallo, tappeti e coperte di lana in mostra/vendita. Ci accoglie la padrona di casa che, oltre ad offrirci una “colazione-aperitivo” a base di te con gallette, e pane, miele e ottima marmellata, ci sorprende presentandoci tre arzille vecchiette che intonano melodie tradizionali, alcune tristi, altre più allegre, la cui trama ci viene di volta in volta descritta da Vladimir.
Al termine dello spettacolino, altro breve spostamento per raggiungere un ristorante dove ci attende il pranzo e, tra una portata e l’altra, la presentazione di un costume tradizionale lak, indossato da una graziosissima ragazza, probabilmente figlia dei padroni.
Al termine, ripartiamo verso Kubachi, la nostra meta finale di oggi.
Daghestan – il villaggio fantasma
Breve tratto di strada e ci fermiamo in un paese fantasma, questa volta però di recente costruzione; si tratta di Shukti, dice la guida, un gruppo di residenze costruite, negli anni ‘1990, utilizzando una sovvenzione pubblica, destinate ai lavoratori di un fattoria collettiva; quando il costruttore, un personaggio amico di Gorbaciov, è deceduto ed è venuta meno la sovvenzione, gli abitanti, non potendo permettersi il mantenimento delle strutture, ha abbandonato le case. Prima di uscire dal villaggio, passiamo di fronte ad un altro monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra, con un’immagine di Stalin; un paio di foto poi ripartiamo verso la meta successiva.
Daghestan -la moschea di Tsugni
Arriviamo a Tsugni (villaggio di 600 abitanti) dove parcheggiamo le auto lungo la strada principale e iniziamo a scattare foto ad un minuscolo, ma grazioso, minareto che spunta tra le case in pietra, ormai prive di manutenzione, costruite a ridosso di un pendio nel XIX secolo; terminata la sessione fotografica, dedicata anche ad un gruppetto di donne in costume che stanno passando per la strada, di inerpichiamo per una stradina che attraversa il centro del villaggio ed arriviamo alla moschea, dalle dimensioni molto ridotte, stretta com’è tra le case ed i viottoli che le stanno intorno. Entriamo nell’edificio e ne visitiamo i locali (la zona per lavarsi i piedi, l’area riservata agli uomini e quella riservata alle donne) per i quali sembra sia stato allestito un adeguato riscaldamento inverno; i locali sono evidentemente stati ristrutturati da poco. Riusciamo a salire sul minareto, dove ci consigliano di salire uno alla volta, e non solo perche la scala è stretta! Anche in questo villaggio vediamo muri decorati con sterco di bestiame, messo a seccare per poi essere utilizzato come combustibile.
Dopo una ventina di minuti di sosta, ripartiamo verso Kubachi, dove arriviamo a tramonto già avvenuto: ci fermiamo in periferia per prendere qualche foto della città, nella penombra, dalle alture che la sovrastano: immagini suggestive, con le case e le vie illuminate e, sul fondo, la nebbia che incombe: siamo fortunati, commenta Vladimir, perché a Kubachi c’è sempre la nebbia!
Anche qui l’aria pungente (siamo a 1700 mt) ci mette fretta, invitandoci a salire in auto; scendere in città e prendiamo possesso delle camere, scelte, per questa notte, come per la cena, nella casa privata di un orafo.
9 ottobre 2019
Daghestan – Kubachi e l’etnia dei Dargin
Usciamo presto, al mattino, e ci rendiamo subito conto che la guida aveva ragione: siamo completamente avvolti dalla nebbia. Senza troppo scoraggiarci, partiamo per la prima visita della giornata: la torre di Kubachi, abitata fino ad una trentina di anni fa ed ora adibita a museo. Sono esposti vari oggetti della tradizione locale, come piatti in ceramica, brocche e vassoi in metallo, abiti ed altro ancora, come alcune pietre scolpite con intarsi (le più belle sono esposte all’Hermitage di Sanpietroburgo), che, ci dice la guida, fanno parte della tradizione di Kubachi, in auge fino al XIV secolo; in città, spiega la guida, vivono numerosi artigiani dell’argento che, tramandandosi la tradizione di padre in figlio, forgiano, da centinaia di anni, coltelli, spade e brocche e, da qualche tempo, anche gioielleria; già nell’XI secolo gli storici arabi sottolineavano le capacità degli artigiani di Kubachi nel costruire armi intarsiate in argento; questa tradizione legata all’intarsio, applicato sia all’argento che alla pietra, si pensa possa risalire, all’arrivo, nell’antichità, di popolazioni provenienti dalla Persia.
La cittadina, conclude la guida, che una volta era prevalentemente colorata di blu, è abitata, per la maggior parte da gente dell’etnia Dargin.
Daghestan – Qala Quraysh e il regno Kaytag ustmystvo
Dopo aver visitato la bottega artigiana del padrone della casa che ci ha ospitati ed un piccolo mercatino di frutta e verdura inizia la discesa verso valle, con il paese che, finalmente sgombro dalle nuvole, offre lo spunto per alcune foto ad effetto, con la nebbia che, in alcuni punti, si intrufola tra le case.
Dopo mezzoretta, parcheggiate le auto, ci aspetta una camminata, facile, di 10 minuti per raggiungere le rovine di Qala Quraysh (la fortezza della tribù di Quraysh), una città fondata nell’VIII secolo d.C. da un gruppo di Arabi della famiglia Quraysh (la stessa del profeta Maometto); un secolo dopo gli Arabi avevano conquistato quasi tutto l’odierno Daghestan formando il regno di Kaytag ustmystvo, del quale Qala Quraysh fu la prima capitale per vari secoli successivi . Di qui, ha aggiunto la guida, ha preso avvio, in quegli anni, l’islamizzazione della regione.
La città era dotata di robuste mura, di 4-5 metri di altezza, oggi piuttosto malridotte, come il resto della città; rimangono in buone condizioni, restaurati, un Mausoleo ed una Moschea, una delle più vecchie del Daghestan, del XII secolo.
Nel 1812 l’ultimo regnante di Kaytag scese a Derbent per giurare fedeltà alla Russi e non tornò più a Qala Quraysh; dal 1821 il titolo fu abolito e la città cadde in rovina; gli ultimi eredi del regno Kaytag ustmystvo furono costretti, nel 1944, ad emigrare in Cecenia, quando i Ceceni furono sfrattati dalla loro terra.
Daghestan – Derbent e il mar Caspio
Poco dopo le 11.30 riprendiamo le auto e proseguiamo verso Derbent dove, poco dopo le 13, pranziamo in un bel ristorante, prima di raggiungere l’hotel e salutare gli autisti di Grozny che ci hanno accompagnato nella seconda parte del viaggio e che esauriscono qui il loro compito nei nostri riguardi.
Un paio d’ore libere per una passeggiata nei dintorni dell’hotel, in riva al mar Caspio, che dedichiamo alla visita di una graziosa stazione ferroviaria e del piccolo interessante museo annesso, che gli addetti aprono per noi, molto volentieri e con un pizzico di orgoglio;
Alla fine della passeggiata ritorniamo all’hotel Scarlet Sails per la cena ed il pernottamento
10 ottobre 2019
Daghestan – Derbent e la sua cittadella
Dopo aver constatato l’audacia di alcuni bagnanti, intenti a nuotare nel mar Caspio, alle 7-7.30 di mattina, con 16°C di temperatura, usciamo in minibus diretti al miglior bar del centro per una colazione… in trasferta. Al termine iniziamo la visita di Derbent raggiungendo in minibus, la cittadella fortificata Naryn Kala, costruita a partire dal XII secolo, sui resti di una precedente del VI secolo (della quale ancora si distinguono alcuni tratti, qua e là lungo le mura, soprattutto quelle che scendono verso il mare), e successivamente ingrandita e migliorata da Arabi, Mongoli, Timuridi e Iraniani, fino al termine della sua utilità militare, nella prima metà del XIX secolo.
Dal piazzale di fronte all’entrata, subito apprezziamo una bella vista panoramica della città e, più oltre, del mar Caspio. Poco dopo le 9.30 entriamo nella cittadella, dal 2003 iscritta nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, dove possiamo camminare sulle mura, vedere le cisterne dell’acqua ed il bagno turco, visitare un piccolo museo etnologico, ed anche osservare un antro, dalla parte opposta, rispetto alla città, chiamato “porta della vergogna” evidentemente utilizzato da qualche personaggio famoso per fuggire durante qualche assedio.
Daghestan – Derbent tra storia e leggenda
A proposito di Derbent, si dice che sia la città più antica della Russia in possesso di documentazione storica, risalente all’VIII secolo a.C.; si riporta anche che le leggendarie Porte di Alessandro, costruite dal grande condottiero Alessandro il Grande, presumibilmente come barriera contro le popolazioni barbare del nord, comprendessero proprio la zona tra il mar Caspio e le montagne della città, in corrispondenza della città, dove ora si erge la fortezza; ma sulle origini della città c’è un’altra leggenda, che affascina maggiormente la nostra guida Vladimir, secondo la quale la fortezza sarebbe stata creata dal demonio che poi, con colpi di coda, avrebbe formato le strade della città.
Daghestan – Derbent il centro
Verso le 10.30 usciamo dalla fortezza, scendendo, a piedi, verso il centro diretti alla moschea Yuma; passiamo attraverso il centro storico dove, mentre ammiriamo lo stile architettonico, omogeneo, sobrio ed armonico, delle case, tutte in pietra, possiamo visitare la più antica porta della città ed un bagno turco (hammam) del XIII secolo, destinato alle donne da sposare.
Alle 11 iniziamo la visita alla moschea Yuma, (frequentata contemporaneamente da sciti e sunniti), risalente al 730/4 e ritenuta la più vecchia della Russia; la struttura è stata restaurata, in passato, con esiti piuttosto negativi (che si possono chiaramente rilevare); ed anche in questo momento sono in corso altri lavori di restauro, sul buon esito dei quali, avviati senza permesso né dell’UNESCO né delle autorità russe, Vladimir esprime forti timori.
Daghestan – Derbent il cimitero di Kyrhlyar
La visita di Derbent continua su una collinetta che sovrasta la città, al cimitero di Kyrhlyar (VII secolo), dove si trova il mausoleo dei regnanti (khan) di Derbent e che coincide, secondo la leggenda, con il luogo di sepoltura di quaranta Sahaba (il nome dato ai compagni del Profeta Maometto che contribuirono a diffondere il Corano), compresi all’interno di una piccola cinta muraria, dentro sepolcri colorati completamente bianchi, con alcuni tratti di verde, colore dell’Islam.
Una curiosità che rileviamo durante il percorso è la rappresentazione, su alcune lapidi, del mestiere che il defunto svolgeva in vita, come, ad esempio, la sagoma di un locomotore per significare che era un ferroviere, o quella di un autocarro a indicare un camionista.
Daghestan – Derbent e la tolleranza religiosa
Terminata la visita, scendiamo nuovamente nel centro storico di Derbent per verificare direttamente, secondo le anticipazioni di Piero e della guida, il grado di tolleranza religiosa che caratterizza la città: una serie di luoghi di culto, anche molto vicini tra loro, di differente credo religioso. Dopo la moschea Yuma, edificio di culto islamico visitato in precedenza, iniziamo ora con la chiesa cristiana ortodossa armena del Santissimo Salvatore (1871), ancora tutta crivellata di colpi di mitragliatrice risalente agli anni ‘1920, ora adibita a museo e, a volte, utilizzata per matrimoni; seguiamo poi con una sinagoga, con annesso asilo per bambini per terminare con la chiesa Pokrovskaya, di religione cristiana ortodossa russa, tutti edifici di culto non lontani tra di loro
Daghestan – Derbent
La visita ai luoghi di culto viene interrotta, verso le 12.30, dal pranzo, nello stesso bar/ristorante della colazione, e, subito dopo, da una dimostrazione di tessitura di tappeti da parte di una signora, proprietaria di una guesthouse, che si dedica a questa attività con l’unico scopo di mantenere e tramandare i “segreti” della tecnica tradizionale di fabbricazione, che lei ha appreso dalla nonna; durante la dimostrazione veniamo inseriti, accettando con piacere di farne parte, in un filmato turistico dimostrativo che una coppia di Mosca stava girando durante la nostra presenza.
Verso le 16, terminata la visita guidata della città, torniamo a piedi verso l’hotel Scarlet Sails a Derbent, dove ci attendono la cena e pernottamento.
11 ottobre 2019
Daghestan – Machačkala
Poco dopo le 9, terminata la colazione nello stesso bar/ristorante di ieri, si parte verso Machačkala, capitale del Daghestan, per l’ultima giornata del tour; dopo un paio d’ore arriviamo alla nostra prima meta della giornata, dove è prevista la visita al secondo mercato più grande della Russia, con una quantità e varietà di prodotti in vendita veramente impressionanti. Al termine, dopo il pranzo in un ristorante daghestano, visitiamo un centro etnico culturale (in pratica un negozio di tappeti e altri oggetti di artigianato) e poi il Museo di arte tradizionale del Daghestan, con quadri ed oggetti antichi provenienti soprattutto da Kubachi.
Poco dopo le 15 arriviamo all’hotel per depositare le valigie, poi tempo libero per visitare il centro città con i suoi negozi di antiquariato ed artigianato (per la verità parecchi sono chiusi) e la piazza centrale, interessata da lavori di rifacimento della pavimentazione, sotto lo sguardo vigile della statua di Lenin.
Un ultimo passeggiata verso il lungomare, in direzione del mar Caspio, interrotta dal passaggio della ferrovia , poi ritorno all’hotel per preparare i bagagli per la partenza.
Dopo la cena, partenza, intorno alle 23, per l’aeroporto, da dove verso le 2 siamo partiti in volo verso Mosca, per prendere la coincidenza alle 7 verso Milano.
Caucaso russo – conclusioni
Alla fine del viaggio risulta molto semplice trarre una prima conclusione: il Caucaso Russo è veramente un’area difficile da comprendere e da riassumere, sia dal punto di vista sociale che economico e politico: il viaggio ci ha mostrato l’esistenza di un mondo parte, legato alla dura vita della montagna per la quale la gente nutre ancora un forte attaccamento, ma che però gli eventi delle ultime decadi hanno contribuito a spopolare; abbiamo visto, soprattutto sugli altipiani, individui dalle fattezze e dagli usi e costumi molto differenti, appartenenti a etnie diverse, ma tutti gentili e disponibili, anche se un po’ restii ad aprirsi, del tutto, con noi, senza dubbio resi inconsciamente sospettosi dal susseguirsi dei fatti, più o meno recenti, che hanno influito, quasi sempre in modo negativo, sia sulla loro vita, che in montagna, in condizioni normali, dovrebbe essere, per definizione, tranquilla, che sul loro carattere.
Nelle zone di montagna che abbiamo percorso, spesso quasi completamente spopolate e piene di edifici severamente danneggiati, la ricostruzione e la modernizzazione non sono ancora arrivati con la stessa velocità ed intensità delle zone di pianura, dove si trovano le città più importanti e la maggior parte della popolazione; per questo in queste zone, che abbiamo toccato, numerose, durante il nostro viaggio, è stato facile osservare la vita più autentica e tradizionale della gente, con le stesse cadenze di molti anni fa.
A questo punto ritorna in gioco il libro “Pianeta Caucaso” di Wojciech Górecki, citato all’inizio dell’articolo: letto nuovamente dopo il viaggio, assume una connotazione molto diversa dalla prima lettura, proponendo contenuti che, una volta riletti, sono risultati molto più comprensibili e più facilmente relazionabili tra di loro.
Quella che sopra è una tabella che riassume, con semplici numeri, il viaggio descritto, con tutte le Repubbliche attraversate, alle quali, per completezza, sono da aggiungere i due territori russi che abbiamo attraversato: il territorio di Krasnodar (quello di Sochi) ed il territorio di Stavropol (quello di Essentuki e Pyatigorsk)
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