Passeggio sulla spiaggia grigia di ciottoli lambita dal placido Mar Nero, grigio pure lui sotto un cielo grigioazzurro. Sparuti bagnanti di fine estate si godono gli ultimi tepori.
La spiaggia è quella di Gagra, una cittadina dell’Abkhazia, adagiata ai piedi dei primi contrafforti delle montagne del Caucaso. Il clima temperato che richiama quello della Costa Azzurra e della Riviera Ligure l’avevano resa una ricercata meta turistica, frequentata prima dalla nobiltà e dalla borghesia dell’Impero Russo e poi dalla nomenclatura sovietica.
Era Georgia ma gli abkhazi non si considerano georgiani e non appena l’Unione Sovietica è franata, subito hanno scatenato una breve, intensa e sanguinosa guerra di secessione che li ha portati ad essere quel che sono oggi: una repubblica autonoma non riconosciuta dalla comunità internazionale che sopravvive solo grazie al sostegno economico e politico della Russia che così punisce la Repubblica di Georgia per aver difeso, al momento della dissoluzione sovietica, la propria indipendenza armi in pugno.
Prendo un ciottolo, lucido e levigato, e mentre lo lancio in maniera che rimbalzi tre o quattro volte sull’acqua, lascio che divampi il virus da frequentazione liceale classica e penso che quello che ho davanti, un po’ grigio e smorto, è il Ponto Eusino che gli Argonauti attraversarono sulla nave Argo al comando di Giasone. Era il tempo in cui il mito precedeva la storia e gli Argonauti sbarcarono su una spiaggia di ciottoli come questa, in questa stessa regione che allora si chiamava Colchide. Erano alla ricerca del Vello d’oro, il manto dorato di Crisomallo, l’ariete alato la cui pelle miracolosa si credeva avesse il potere di curare ogni ferita.
Il mito, secondo gli studiosi, si riferisce ai primi viaggi dei marinai e mercanti greci che venivano a cercare l’oro di cui si favoleggiava che la Colchide fosse ricca. E’ storicamente provato che gli antichi cercatori d’oro di queste regioni utilizzassero un setaccio ricavato dal vello di ariete in cui s’incastravano le pagliuzze d’oro.
In effetti le coste orientali del Mar Nero furono colonizzate dai Greci, come testimonia Pitsunda, la cittadina balneare più nota di Abkhazia, tuttora meta preferita dei turisti russi, che è stata fondata nel V secolo A.C. da coloni greci con il nome di Pythus. Nel Medio Evo, sotto il dominio dei re georgiani, fu importante sede arcivescovile e non a caso il monumento principale della cittadina è la Cattedrale di Sant’Andrea, risalente al X secolo e fatta costruire dal re Bagrat III di Georgia. Perfettamente restaurata, è un classico esempio di architettura religiosa cristiana ortodossa nello stile delle chiese georgiane e armene, sopravvissuta al dominio ottomano e all’incuria del periodo sovietico. Al suo interno conserva suggestivi resti di affreschi del XIII secolo che è il secolo in cui arrivarono nel Mar Nero le navi della Superba Genova e Pitsunda fu per breve tempo una colonia genovese con il nome di Pezonda.
Ma il sito più importante per la storia abkhaza è la fortezza di Anacopia. Sta appollaiata sul cucuzzolo del Monte Iverskya o Monte d’Iberia a oltre 300 metri di altezza da dove domina la costa che si estende ai suoi piedi.
Anacopia fu, tra il VII e l’VIII secolo, la capitale del Regno di Abkhazia. La fortezza, difesa da 1000 georgiani e 2000 abkhazi, respinse l’esercito musulmano del futuro califfo Marwan forte di 60.000 uomini. Cadde poi in mano bizantina e nel XIII secolo fu genovese con il nome di Nikopia. Tra il XVII e XVIII secolo subì la dominazione ottomana.
Se sali sulla torre della fortezza di Anacopia, la vista spazia a nord, oltre il continuo manto di foreste, sulle catene montuose del Caucaso, coronate di neve. A sud puoi vedere la costa del Mar Nero fino a dove l’occhio può arrivare. Le rovine della fortezza di nuda pietra, tra le quali ancora funziona il millenario pozzo alimentato da acque sorgive ritenute benefiche per la salute, sembrano proteggere le cupole neo-bizantine del monastero di San Simone il Cananeo fondato nel 1875 da monaci provenienti dal monastero russo di San Pantaleimon del Monte Athos, sul sito di una grotta nella quale, come vuole la tradizione, l’apostolo Simone Cananeo si ritirò in eremitaggio. Attorno al monastero è sorto un insediamento chiamato Nuovo Athos, Afon Ch’yts in abkhazo, in cui è stato eretto il cosiddetto “museo della gloria militare” dedicato ai caduti della guerra secessionista combattuta dagli Abkhazi contro i Georgiani.
La maggiore attrazione di Nuovo Athos è costituita dalla grotta Novoafonskaya. Si tratta di una grotta carsica situata proprio dentro il Monte d’Iberia sopra cui troneggia la fortezza di Anacopia. Scoperta nel 1961 ed aperta al turismo nel 1975, è una delle più grandi caverne del mondo con migliaia di splendide stalagmiti e stalattiti. Si compone di nove grandi gallerie e per avere un’idea dell’immensità della grotta basti pensare che per scendere nel suo interno è stata costruita una ferrovia sotterranea, una vera e propria metropolitana con tre stazioni.
Proseguendo lungo la costa si raggiunge Sukhumi, situata in un’ampia baia, rinomata per le sue spiagge e i suoi centri termali. E’ oggi la capitale dell’autoproclamata Repubblica di Abkhazia. Nella mitica Colchide era l’antica Dioscurias, dove secondo i suoi abitanti si conservava il ricordo del soggiorno dei Dioscuri, Castore e Polluce, durante la spedizione degli Argonauti. Furono i Romani a costruire qui un forte nel II secolo D.C. e oltre 1500 anni dopo sulle sue rovine eressero una nuova fortezza i dominatori Ottomani.
La città conserva le vestigia dei fasti di inizio secolo scorso quando era frequentata dalla crème della nobiltà zarista. Edifici elegantissimi del primo ‘900 convivono con nuovi edifici nati sulle macerie della guerra.
Il Palazzo del Parlamento, però, è stato lasciato com’è uscito dalla guerra, cannoneggiato, con le finestre sfondate e con i muri sfregiati dalle vampate del fuoco appiccato nel 1993 dai Georgiani. E’ considerato un monumento alla guerra vittoriosa, simbolo del sacrificio del popolo abkhazo.
Terminato questo excursus sulla fascia costiera, è ora di risalire i contrafforti che la coronano e salgono tra foreste incontaminate verso le catene montagnose del Caucaso. Un territorio di eclatante bellezza, suggestivamente selvaggio, che pare sospeso in bilico tra le cime vertiginose coperte di ghiaccio e la distesa placida del mare.
E’ il regno delle foreste miste del Caucaso, un’ecoregione unica al mondo. Secondo i naturalisti è il cosiddetto “rifugio floristico della flora cenozoica della Colchide”, il più importante relitto di flora forestale del Paleartico occidentale. Sarebbe a dire? Sarebbe a dire che stiamo parlando dell’unico luogo di questa parte del mondo in cui foreste decidue sono presenti ininterrottamente fin dall’era Cenozoica. E’ per questo che il più grande e frequentato parco nazionale abkhazo, la Riserva Naturale del Lago Ritsa (Ritsa Relict National Park), è affettuosamente e rispettosamente chiamato “reliquia”: è, infatti, il santuario della natura abkhaza.
Vi ci si immerge per una strada che parte dal livello del mare e sale tra spettacolosi boschi di latifoglie e di conifere, tra laghi, torrenti e cascate, fino agli ecosistemi erbosi che stanno tra la linea degli alberi e la zona coperta da nevi, prati alpini che raggiungono il costone caucasico che si affaccia sulla Circassia.
La strada costeggia il fiume Yupzara passando per titaniche gole che innalzano pareti di roccia alte quasi mezzo chilometro divise, nel punto più stretto, da un imbuto largo appena 20 metri e solo passarci in macchina è un’emozione. Se poi si scende di macchina si resta annichiliti dalle pareti di roccia che incombono su di te, tangibile testimonianza del lavorìo incessante delle forze della natura che hanno scavato, levigato e dilavato per millenni e millenni.
Fuori dalla gola il paesaggio muta continuamente: fitte abetaie celano piccoli laghi profondi, il bosco ceduo è interrotto da dirupi da cui scendono pittoresche cascate. Uno specchio d’acqua intensamente blu emerge da sotto una parete, bersaglio preferito delle macchine fotografiche. Si chiama, semplicemente, Lago Blu, un gioiellino di soli 20/30 metri di ampiezza ma profondo, si dice, oltre 70 metri. Non ospita pesci né altri animali e le sue acque hanno la caratteristica di non gelare mai.
Le cascate sono a loro volta particolarmente ricercate dagli obiettivi fotografici: una porta il nome di Cascata delle Lacrime perché dalla roccia stillano gocce d’acqua come lacrime, luogo preferito degli innamorati che che lasciano qui come pegno d’amore nastri colorati appesi alla roccia.
La più famosa è forse la cascata Gegskiy, caratteristica perché l’acqua erompe direttamente da un’apertura nella parete di roccia, a circa 70 metri di altezza, sbocco di un piccolo fiume sotterraneo.
E finalmente la strada raggiunge la più famosa e visitata attrazione naturalistica di tutta l’Abkhazia: è il lago Ritsa, uno specchio d’acqua di incredibile bellezza, circondato da verdi foreste che hanno come sfondo le montagne innevate. Un lago color turchese che con i suoi 116 metri di profondità, alimentato da sei fiumi, è il più profondo di tutto il Caucaso e serbatoio di una fauna ittica che richiama irresistibilmente gli appassionati di pesca.
Ci troviamo a 950 metri sul livello del mare e la zona intorno al lago fa parte della “ecoregione delle foreste di latifoglie del Mar Nero orientale e meridionale” con una concentrazione così elevata di boschi che specie in autunno, quando mutano le foglie, il lago appare fiabescamente immerso in una cangiante tavolozza di colori inframmezzata dal verde scuro delle primordiali abetaie con alberi che raggiungono altezze di oltre 70 metri.
Ma c’è un altro motivo, oltre alle bellezze naturalistiche, che attira l’interesse della gente in riva a questo lago. Il fatto è che qui Stalin aveva una dacia in cui veniva a godersi sue giornate di relax. L’edificio è rimasto tale e quale come era, con l’arredamento intatto…e dunque è con una certa curiosità che si butta l’occhio nella sala delle riunioni, sul tavolo su cui mangiava, nella camera da letto in cui dormiva, nel bagno con la vasca che usava e perfino il water in cui defecava.
L’esterno della dacia è terrazzato sul lago e al pontile c’è ancora, a disposizione dei visitatori, il motoscafo che scorrazzava il capo dell’Unione Sovietica sulle fredde e chiare acque circondate dai boschi che da qui risalgono compatti fino al limite dei prati alpini, oltre i 2000 metri dove fra le piante erbacee pascolano cavalli bradi e sul limitare della cresta una stella rossa su un cippo ricorda ancora l’epopea della grande guerra patriottica contro l’invasione nazista che mirava ad impadronirsi del Caucaso per arrivare ai pozzi petroliferi del Caspio.
Oltre la cresta c’è la Circassia, un altro Caucaso e un’altra storia.
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