Il viaggio verso le Falkland è lungo. Ci vogliono quattro voli (Milano-Madrid-Santiago del Cile-Punta Arenas-Mount Pleasant), per un totale di 21 ore di volo, a cui bisogna aggiungere gli scali e i tempi di trasferimento. D’altra parte siamo a 13500 km in linea d’aria dall’Italia, quindi uno dei luoghi del mondo più lontani da noi.
In questa seconda parte del viaggio, nei giorni precedenti alcuni di noi hanno visitato la Patagonia e la Terra del Fuoco, siamo in 10: io, Valeria di Monza, Maddalena di Torino, Luca di Locarno (CH), Valeria e Ignazia di Genova, Fabio di Milano, Mariangela di Torino, Stefano di Monza e la guida Piero Bosco di Viaggi Polari che è anche l’organizzatore.
22-29 febbraio: le Falkland
Ogni sabato un volo della LATAM collega il Cile con l’aeroporto militare di Mount Pleasant nelle Falkland (o Malvinas, secondo i punti di vista). Una volta al mese l’aereo atterra anche a Rio Gallegos in Argentina. Questo volo è l’unica alternativa alle crociere per raggiungere queste isole.
Il nostro programma di viaggio prevede la visita di Port Howard, a West Falkland, e di Pebble Island e Saunders Island nel nordovest dell’arcipelago. I voli interni sono gestiti dalla FIGAS (Falkland Islands Government Air Service), che opera con i piccoli Britten-Norman a elica da 6-8 posti. A parte la pista vicino alla capitale Stanley, tutte le altre sono in erba e la cosa più curiosa quando stai per atterrare è che in pista ci sono le pecore, che scappano precipitosamente quando il rumore del motore si fa più forte. Nell’ufficio di Stanley fanno bella mostra le scritte “I love FIGAS”, col cuore, e “I flew FIGAS …and survived”. L’aereo vola a circa 200 km/h e a un’altezza di 3-400 metri, che consente di apprezzare i magnifici panorami dell’arcipelago. In cabina si può portare solo la macchina fotografica e il bagaglio non deve superare nel complesso i 20 kg. Per ogni kg eccedente si pagano 3.5 sterline per ogni tratta.
Port Howard
Prima tappa a Port Howard, West Falkland, nel lodge dei signori Sue Lowe e Wayne Brewer, pieno di articoli vintage, di velluti e di bottiglie di porto intatte da chissà quanti anni. C’è anche un piccolo museo con vari reperti della guerra anglo argentina del 1982. Rimaniamo qui 2 notti.
Port Howard, 25 abitanti, 45000 pecore e 500 vacche, è l’insediamento più numeroso di tutta la parte Ovest delle Falkland. La lana delle pecore e le visite dei turisti forniscono alla famiglia Brewer il necessario sostentamento, mentre i viveri li porta un ferry che ogni giorno alle 9 e mezza raggiunge la baia, accompagnato da un corteo di giocherelloni delfini di Commerson, piccoli con una grande pezza centrale bianca, che balzano dentro e fuori davanti al cargo. Con le jeep attraversiamo la brughiera e raggiungiamo White Rock, una scogliera a due ore e mezza di fuoristrada dall’insediamento. Lungo la strada ci fermiamo a vedere i resti di un Mirage argentino abbattuto dalla contraerea. Qui a Port Howard gli argentini installarono una base che nel periodo della guerra ospitava più di 1000 militari.
White rock è popolata da una numerosa colonia di cormorani imperiali, con accompagnamento di gabbiani grigi, skua, avvoltoi e caracara. C’è anche un piccolo gruppo di pinguini rockhopper (saltaroccia), quasi tutti esemplari giovani perché gli adulti sono in mare per l’approvvigionamento di cibo.
Pebble Island
Lasciamo Port Howard per raggiungere Pebble Island (“l’isola dei ciottoli”), nel nordovest delle Falkland, con un volo di 15 minuti tra panorami stupendi visti dall’alto. Il Pebble Lodge è grande e accogliente ed è gestito dalla famiglia Pole, che in sostanza è proprietaria dell’isola. Si trova proprio dietro Elephant beach, 6.5 km di spiaggia bianca popolata dalle beccacce di mare dal lungo becco rosso (oystercatchers) e dai voltapietre. Anche qui pecore a go-go. Mr Pole ci dice che a causa della scarsità di erba a disposizione, ogni pecora deve avere un’area di movimento di circa 2 ettari (!).
Nei due giorni passati a Pebble Island facciamo due lunghe escursioni una verso la parte est dell’sola, l’altra verso ovest, su piste sconnesse la cui tracciatura spesso è solo un’ipotesi. In direzione est raggiungiamo Cape Tamar e Cape Evans, tra baie bellissime popolate da cormorani e pinguini gentoo. A Cape Tamar assistiamo alla scena straziante di un pinguino catturato dalle procellarie giganti e dagli avvoltoi che se lo stanno divorando. Speriamo che fosse un esemplare debole o malato.
Torniamo al lodge attraversando l’interno, costellato da una serie di laghetti (ponds) dove sguazzano fischioni, svassi ciuffati, alzavole, stornelli prataioli e gli elegantissimi cigni dal collo nero.
In direzione ovest raggiungiamo Berntsen Bay, con la meravigliosa spiaggia di sabbia bianca detta Stinker beach (che sarebbe “la spiaggia del fetente”, nome quanto mai inappropriato per uno dei luoghi più belli di tutte le Falkland). Una numerosa colonia di gentoo fa la spola tra il mare e i nidi, mentre un gruppo di avvoltoi osserva i movimenti dei pinguini con interesse. Gabbiani e grey gulls svolazzano tra gli scogli, mentre i delfini di Commerson fanno capolino tra le onde. Rimarremo 2 ore e mezza su questa spiaggia, da cui non si vorrebbe mai venire via. Spero che qualche foto allegata dal diario renda l’idea.
Proseguiamo verso Cape Coventry, dove finalmente riusciamo a trovare una colonia di pinguini saltaroccia con qualche adulto rimasto ad accudire i piccoli, anche se i pinguini sono un po’ restii ad esibirsi nei balzi tra le rocce per i quali sono famosi. La baia ospita anche un gruppo di rock shags, i cormorani dagli occhi rossi molto più rari di quelli imperiali che hanno gli occhi blu.
Poco lontano da Cape Coventry visitiamo due memoriali: uno alle pendici di Marble Mountain in onore degli aviatori argentini caduti durante il conflitto e uno sulla First Mountain eretto dagli inglesi in onore dei marinai del cacciatorpediniere lanciamissili Coventry affondato dagli argentini. Qua e là anche su questa isola sono sparsi i rottami di aerei abbattuti o precipitati (Dagger e Mirage).
Saunders Island
Altro volo panoramico della FIGAS per raggiungere Saunders Island, a ovest di Pebble. Qui l’organizzazione ha provveduto a caricarci le provviste sull’aereo, perché l’alloggio è molto spartano e la famiglia Pole-Evans che gestisce il settlement, cioè l’insediamento, non fornisce servizio di cucina. Per fortuna le donne del nostro gruppo assolvono benissimo questo compito.
Questa isola presenta forse i panorami più belli di tutte le Falkland. Ci sono zone umide e laghi permanenti, dune di sabbia e scogliere ripide. L’istmo detto “the neck” (il collo) è uno dei luoghi più spettacolari al mondo per l’osservazione di varie specie di pinguini e degli albatros.
The neck è una stretta lingua di sabbia bianchissima battuta dal vento che unisce Mount Harston e Elephant Point, a ovest, con Mount Richards a est. Si raggiunge con le consuete due ore di sballottamento su piste improbabili attraverso la brughiera selvaggia.
Arriviamo al neck in una giornata ventosa. Il vento solleva folate di sabbia bianca tra le quali si muovono ondeggiando i pinguini che vanno e vengono dal mare, per il foraggiamento proprio e della famiglia (compagna con prole o in cova).
Dirigendosi verso est si raggiunge prima la colonia dei pinguini di Magallanes, poi i pinguini gentoo dal becco rosso, poi un gruppetto di una trentina di king penguins, quelli con un colletto di piume
arancione che arriva fino all’inizio del petto, poi i simpaticissimi rockhopper (pinguini saltaroccia). E’ la specie più piccola (solo 35-40 cm), ma sono bellissimi. Hanno un vezzoso ciuffetto di piume gialle a lato degli occhietti cerchiati di rosso. Vederli saltellare di roccia in roccia in fila indiana a piccoli balzi è uno spasso: sono immediatamente eletti dal gruppo come la specie più simpatica. Tanto buffi e impacciati sono mentre saltellano tra le rocce, scivolando e rotolando giù ogni tanto, tanto disinvolti appaiono quando si gettano nelle pozze tra gli scogli fino a raggiungere l’oceano. Qui diventano dei veri e propri siluri quando si immergono alla ricerca del krill, i gamberetti oceanici di cui si alimentano.
Salendo sulle pendici di Mount Richards (una collina alta 400 metri), raggiungiamo la zona di nidificazione dei magnifici “black browed albatros” gli albatros dalle sopracciglia nere, che è la specie più diffusa in tutta l’area antartica e subantartica. Magnifici uccelli che quando si alzano in volo dispiegano un’estensione alare di quasi tre metri. Vederli decollare e poi partire con pochi battiti di ali è un eccezionale spettacolo di slancio e leggerezza. Signori del vento, in volo sono un concentrato di eleganza e di potenza, soprattutto quando volteggiano sopra le onde sfiorandole appena e lasciandosi trasportare dal vento senza mai toccarle. Grazie al vento, e a una particolare abilità nello sfruttare le correnti ascensionali, riescono a percorrere centinaia e centinaia di chilometri sull’oceano alla ricerca del cibo, per poi ritornare al nido dove le femmine accudiscono i piccoli che attendono il nutrimento. I nidi sono occupati dai pulcini perennemente affamati, che aspettano il rientro di un genitore per il rigurgito del pesce. Pensare che questi albatros non sono nemmeno i più grandi: gli albatros wandering, cioè “erranti”, hanno un’apertura alare che può superare i 3.50 metri.
Scendendo dalla collina, più in basso gentoo e king fanno scaramucce per accaparrarsi venti centimetri di spazio in più per il nido, tenendo bene sottocchio gli skua e i caracara, pronti ad approfittare di qualche pulcino abbandonato o di qualche adulto ferito. Assisto alla scenetta di un gruppo di gentoo che si è messa in disparte tra le foglie di una specie di salvia gigante e guarda verso il mare, mentre alcuni del nostro gruppo camminano in fila indiana sul bagnasciuga e ogni tanto si girano scattando foto: mi chiedo chi è l’osservatore, e chi è l’osservato….
Uno spettacolo eccezionale che il sole, che nel frattempo ha bucato le nuvole, rende più vivido e brillante.
Rimaniamo quasi tre ore al “neck”: si fa davvero fatica a venire via da un posto come questo.
La seconda escursione su Saunders Island ci porta a The Rookery, altro luogo di nidificazione degli albatros che qui sono stimati in 19000 coppie, popolato anche da una piccola colonia di rockhoppers quasi tutti pulcinotti, perché gli adulti sono in mare a fare rifornimento.
Gli elefanti di mare di Kelp Point
Ultimo volo FIGAS per raggiungere Stanley, la capitale delle Falkland. In aeroporto sono già pronte le jeep che ci portano subito a Kelp Point, dopo le solite 2 ore di sballottamento su piste la cui tracciatura è quasi inesistente. Kelp Point, una settantina di km a sud di Stanley, è punto di ritrovo per gli elefanti di mare, che vengono qui in ottobre-novembre per la riproduzione e in febbraio-marzo per la muta.
Una cacofonia di grugniti, rutti, sbuffi e strombazzamenti ci accoglie all’arrivo. La colonia di elefanti di mare è numerosa: ce ne sono almeno una cinquantina. Stanno lì spaparanzati nel fango o sulla battigia in attesa di cambiare la pelle. I maschi sono colossali: 6 metri di lunghezza per 4 tonnellate di peso e un paio di metri di larghezza. Uno degli animali più grandi del mondo. Oltre che per la mole, si riconoscono anche per la presenza di un’appendice mobile che ricorda una proboscide. Le femmine invece sono molto più piccole, dato che normalmente non raggiungono la tonnellata. Sono ricoperti da chiazze di manto chiaro che via via si staccano e vengono sostituite dal nuovo manto grigio scuro. Simpatici ciccioni che si muovono a fatica sulla spiaggia srotolando strati di grasso e fermandosi a
riposare dopo ogni spostamento di qualche metro. Ogni tanto qualche maschio, pinneggiando goffamente con un ridicolo ondeggiamento di cuscinetti di grasso che si muovono ritmicamente, riesce a raggiungere l’acqua. E allora accade il miracolo: tanto impacciati e comici nei movimenti appaiono questi giganteschi pinnipedi sulla terra, tanto leggiadri e disinvolti si muovono nell’acqua, che in effetti è il loro reale ambiente naturale perché ci stanno 9-10 mesi all’anno.
Raggiungiamo poi Whale beach, poco distante, dove c’è un’altra colonia di pinguini gentoo, quindi dobbiamo rientrare a Stanley. Alloggiamo all’hotel Malvina House.
Stanley
Nella capitale delle Falkland vivono circa 2500 dei 2900 abitanti di tutto l’arcipelago, che si fanno chiamare “kelpers”, nome che richiama il kelp, l’alga degli oceani freddi. Il borgo è un variopinto insieme di villette con i tetti dai colori pastello, che si estendono su una collinetta affacciata sulla baia. Sul lungomare ci sono tanti ricordi dell’assurda guerra anglo-argentina che nel 1982 fece 930 morti, di cui 300 nel solo affondamento dell’incrociatore argentino Belgrano. Il monumento ai caduti riporta i nomi di tutti i soldati e i civili inglesi morti durante il conflitto. L’analogo argentino si trova invece a Buenos Aires.
In Thatcher Drive troneggia il busto in bronzo della lady di ferro, ringiovanita di una trentina d’anni e ritratta con un fisico da modella. Tutto attorno, casette di legno con lupini colorati e grandi papaveri rossi e gialli nei giardini.
Pochissima gente in giro. La bianca chiesetta St Mary’s Church, cattolica, è aperta e praticamente vuota. I kelpers frequentano quasi tutti la cattedrale anglicana che si erge al centro del lungomare, facilmente riconoscibile per i mattoni rossi e per il monumento di bianche stecche di balena posto all’esterno.
La visita delle Falkland è stata organizzata da International Tours & Travel di Stanley.
Conclusione
Ripartiamo da Stanley sabato 29 febbraio, mentre le notizie sulla diffusione del coronavirus si susseguono. 5 ore di attesa estenuante all’aeroporto di Mount Pleasant, poi finalmente riusciamo a imbarcare. Si paga la tassa d’uscita di 25 sterline. Torniamo in Italia via Punta Arenas – Santiago – São Paulo. Il volo LATAM da São Paulo a Malpensa, a causa delle disdette, è praticamente vuoto ma per fortuna è operativo. Quello che troviamo in Italia è notizia di oggi. Nel frattempo, le Falkland hanno chiuso l’accesso agli europei come misura precauzionale contro il Covid-19 e il gruppo che doveva fare un giro simile al nostro rimarrà bloccato in Cile.
Grazie ai compagni di viaggio e a chi ha letto il diario e ha avuto la costanza di arrivare fino a qui.
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