Le spedizioni di soccorso degli Alpini al dirigibile Italia nel 1928
Era il 1998 e per la prima volta affrontavo i mari Artici. La Polarboy, vecchia nave Norvegese un tempo utilizzata per la caccia alle foche, navigava lungo la costa occidentale dello Spitsbergen alla volta di Ny Ålesund. Malgrado fossimo nel cuore della notte non riuscivo a prendere sonno ed il mio pensiero volava alla spedizione del dirigibile Italia del 1928, alla grande sogno polare del Generale Nobile, alla tragedia della caduta, alle grandi imprese delle Penne Nere impegnate nelle operazioni di soccorso. Neppure lontanamente immaginavo che quel mondo di ghiaccio che stavo per scoprire sarebbe diventato una parte importante della mia vita. Da allora ho solcato questi mari ogni anno, con passione sempre crescente. Il mio sogno è diventato quello di ripercorrere gli itinerari di quel manipolo di coraggiosi Alpini che molto contribuirono all’esplorazione dell’arcipelago delle Svalbard, a soli 1000 kilometri dal Polo Nord.
Così anno dopo anno ho avuto la fortuna di visitare molti dei luoghi teatro di quegli avvenimenti e soprattutto ho avuto l’onore di farlo indossando il mio cappello Alpino. Ma vediamo che cosa successe di così importante in quella estate di tanti anni fa.

Nel marzo del 1928 a bordo della Hobby in navigazione verso le Svalbard il Capitano Gennaro Sora certamente non immaginava quello che sarebbe successo nei mesi successivi. Insieme con altri 8 Alpini era stato scelto per partecipare alla spedizione polare del dirigibile Italia comandata dal Generale Umberto Nobile. Il Generale aveva richiesto al governo alcuni aerei da utilizzare in caso di emergenza, la sua richiesta era stata rifiutata ma in sostituzione venne aggregato alla spedizione il piccolo contingente di Penne Nere.
Il loro compito iniziale era di partecipare alla costruzione del campo base presso Ny Ålesund, nel Kongsfjorden, e poi se necessario intervenire come unità di soccorso. In quest’ottica la scelta degli Alpini da parte di Nobile appare assolutamente logica in quanto per questi ultimi il ghiaccio ed il freddo erano elementi a cui erano abituati sulle Alpi.
Sfortunatamente, dopo aver raggiunto il Polo Nord, il dirigibile Italia il 25 Maggio precipitò sul pack al largo della costa settentrionale di Nordaustlandet.
Il quartier generale Italiano, non conoscendo la posizione del disastro, indirizzò i primi soccorsi nella direzione sbagliata. Il 27 la Città di Milano con a bordo il Sergente Maggiore Sandrini e l’Alpino Pedrotti insieme con Albertini e Matteoda, due membri del SUCAI (Studenti Universitari Club Alpino Italiano) anch’essi coinvolti nelle operazioni di soccorso lasciò Kongsfjorden alla volta di Bluffodden, nel nord ovest dello Spitsbergen. Il 29 Maggio raggiunsero la capanna Kramer, così chiamata dalla famiglia di cacciatori che vi viveva. La loro guida, Waldemar Kraemer, uno dei cacciatori della famiglia sconsigliò loro di tentare una marcia lungo la costa per via dei ghiacciai e delle scogliere che ne avrebbero bloccato il cammino. Per cui, il giorno succesivo, a bordo di una piccola barca a remi blu, la Liv, essi iniziarono la loro esplorazione. Smeerenburgfjorden era bloccato dal ghiaccio per cui circumnavigarono Danskøya e tentarono di passare da Danskegattet che sfortunatamente era a sua volta bloccato. Continuarono così verso nord ma passata Fuglesangen trovarono ancora ghiaccio. Decisero di salire sull’isola per controllare lo stato dei ghiacci e decisero poi di tentare di raggiungere Norskøyane dove montarono il campo dopo 40 ore di viaggio.
Fu un viaggio terribile, furono spesso costretti a trascinare la barca sul pack e Pedrotti cadde in acqua e fu salvato da Albertini e Matteoda. Il 2 Giugno raggiunsero la baracca di Flathuken dove incontrarono il cacciatore Oxaas che aveva passato gli ultimi 4 anni nella zona ma non aveva notizie circa il dirigibile. Il giorno seguente partirono per Biscayerhuken senza avere nessuna novità dal cacciatore residente là. Il 4 Giugno dopo avere invano tentato di procedere ulteriormente verso est vennero imbarcati sulla Hobby e trasportati verso Mosselbukta.

Durante la navigazione incrociarono la Braganza, cosi come la Hobby anch’essa affittata dal governo Italiano, il cui equipaggio era stato informato il 10 Giugno circa il contatto radio con la Tenda Rossa. Il giorno seguente raggiunsero Mosselbukta dove incontrarono un secondo gruppo di Alpini composto dal Capitano Sora, il Caporale Bich e gli Alpini Cesari e Pelissier .
Questi ultimi erano arrivati alla capanna Polhem a bordo della Braganza il 5 Giugno. Questa capanna è famosa per essere stata utilizzata dalla spedizione di Adolf Erik Nordenskiöld nel 1872-73. Qui trovarono i quattro fratelli Svensen, anch’essi cacciatori. Uno di essi si offrì volontario nel guidarli in una profonda esplorazione del le coste e dell’interno della parte settentrionale della Ny Friesland. Il gruppo lasciò Mosselbukta l’8 Giugno e con gli sci raggiunse dopo 14 ore di marcia un secondo rifugio situato presso Sorgfjorden. Dopo un breve pasto gli Alpini proseguirono verso sud lungo la costa occidentale del fiordo fino a Rosenfjellet e poi verso nord sulla costa orientale fino a Fosterneset facendo infine ritorno al rifugio. Qui si divisero in due gruppi che fecero entrambi ritorno a Polhem percorrendo vie diverse. Svensen, Bich e Cesari fecero un percorso diretto che attraversava l’interno mentre Sora e Pelissier seguirono la costa. Raggiunta Polhem si divisero nuovamente, questa volta Sora e Pelissier esplorarono l’interno mentre gli altri seguirono la costa. I primi si diressero verso Rosenfjellet ed i suoi ghiacciai adiacenti fino ad 800 metri di altitudine, raggiunta la cima di un monte lo vollero dedicare al battaglione del Capitano Sora e lo chiamarono Cima Edolo. Purtroppo nelle odierne mappe non vi è traccia di questo monte. Quando furono tutti ritornati a Mosselbukta fecero rotta verso Kongsfjorden a bordo della Braganza dove arrivarono il 13 Giugno.
Sebbene infruttuose queste prime spedizioni confermarono il coraggio e l’attitudine delle truppe Alpine ad operare in condizioni estreme e per certi versi anche molto diverse da quelle a cui erano abituati.
Le novità provenienti dalla Tenda Rossa spinsero presto gli Alpini ad entrare in azione nuovamente tanto che il 14 Giugno ripartirono a bordo della Braganza e della Hobby alla volta di Nordaustlandet, isola situata nel nord est delle Svalbard, in prossimità del luogo dove si trovavano i superstiti del dirigibile. Il 16 Giugno fu approntato un piccolo campo base presso Beverlysundet e un deposito presso il vicino Nordkapp. Da qui partirono diverse piccole spedizioni volte all’esplorazione di Nordaustlandet. La più importante di queste aveva il compito di trovare e soccorrere Malmgren, Mariano e Zappi che nel frattempo avevano lasciato la Tenda Rossa ed erano ora in pericolo. La situazione degli altri superstiti nella tenda era infatti relativamente tranquilla in quanto riforniti di cibo e materiale dagli aerei.

Il gruppetto che lasciò Beverlysundet il 18 Giugno era composto dal Capitano Sora che comandava il drappello, un ingegnere Danese, Ludvig Varming e un esperto di cani da slitta Olandese, Joseph Van Dongen. Con una marcia molto spedita favorita dalle ottime condizioni del pack raggiunsero Kapp Wrede in un solo giorno e da qui Kapp Platen dove fu approntato un piccolo campo nel quale fu lasciato Varming, accecato dal riverbero dei ghiacci, il quale fece ritorno da solo al campo base. Nel suo diario Sora ipotizzò che la cecità del Danese fosse solo un pretesto per nascondere la stanchezza fisica e lo criticò perchè all’inizio della spedizione dichiarò di non essere contento di lavorare con gli Italiani.
Il 20 Giugno Sora e Van Dongen ripartirono, il primo sceglieva la via migliore ed il secondo si occupava di guidare la slitta. Poco dopo cacciarono una renna che fornì a loro ed ai cani cibo fresco. La sera del giorno seguente, dopo aver attraversato Duvefjorden, raggiunsero l’isola Sore Repøya dove passarono la notte senza predisporre alcun campo in quanto il tempo era molto buono. Il 22 Giugno esplorarono l’isola e la sera vennero sorvolati da tre aerei. Continuarono la marcia e dopo 9 ore raggiunsero una piccola isola pianeggiante non segnata sulle mappe. Sora la chiamò Alpiniøya, l’isola degli Alpini. Van Dongen avrebbe potuto rivendicare metà della scoperta della nuova isola. Il Capitano Sora però si rifiutò anche solo di pensare ad una simile evenienza primo perchè l’Olanda aveva già un’isola alle Svalbard, Amsterdamøya; poi perchè era lui il comandante della spedizione e infine perchè semplicemente non avrebbe neanche affrontato l’argomento con il suo compagno di avventura.

Il 23 Giugno dopo aver esplorato l’isola vi lasciarono una cassa e una slitta e si diressero verso Foynøya, una piccola isola situata a nord est. Ben presto si resero conto che era impossibile raggiungerla e decisero di dirigersi verso Brochøya, situata a 25 kilometri di distanza. Il tragitto si dimostrò però terribile, impiegarono infatti ben 6 giorni per vincere il pack ormai in via di scioglimento. Cadendo diverse volte in acqua, procedendo ora con gli sci ora con una piccola imbarcazione, con i cani esausti ormai più un peso che un aiuto, raggiunsero finalmente la terra ferma. La scorta di cibo era ormai esaurita e dovettero cibarsi dei cani da slitta e di uova di uccelli che trovarono sul loro percorso.
Di seguito una parte del diario del Capitano Sora rivela la difficoltà del viaggio.
23 Giugno. Si cammina tra ghiacci derivati con molta fatica e con poco profitto.
24 Giugno. L’isola sembra inafferrabile. I ghiacci sono bruttissimi. Il ritorno è problematico, meglio proseguire.
25 Giugno. Ritengo di essere a 10 km dall’isola, ma quando potrò giungervi? Un cane muore.
26 Giugno. Il mio cagnaro è stanco assai. Nebbia. Piantiamo la tenda sopra un banco dall’apparenza solida. Si dorme per 12 ore. Nel frattempo muore un altro cane. La nebbia si rischiara per lasciarci vedere le tre isole. Durante il riposo abbiamo derivato a S.Est di almeno 3 miglia. Ora vedo l’isola di Schubler a N.O. e quella di Broch a Nord.
Foyn fa 32° a Est.
Sacrifichiamo tutto per alleggerire la slitta e portiamo con noi solamente il saccoapelo, fucile con 100 cartucce, la tenda ed il caiacco; quest’ultimo lo porto sulle mie spalle.
I cani sono senza mangiare e non possono ormai contare che sulle foche o sugli orsi. Noi invece abbiamo ancora tre giorni di pemmican e dopo faremo del nostro meglio per campare col fucile. Ma ciò che mi spinge a proseguire, oltre al bisogno di soccorrere i naufraghi, è la speranza di trovare dei ghiacci migliori, non solo, ma il ritorno mi costerebbe più di cinque giorni di viaggio ed i cani non ne possono più.
Al massimo invece conto di raggiungere l’isola od una delle isole in due giorni. Calcolo di essere a due km dall’Isola di Schubler ed a 11 da Foyn.
Ore 4. Il ghiaccio è molto rotto. Canali di acqua continui mi obbligano a trasbordi faticosi e interminabili.
27. Ho raggiunto un grosso iceberg che pare incagliato. Ad est acqua. Spero di proseguire verso nord e di raggiungere l’isola di Broch da ovest. I cani sono mezzi andati. Non si vede nè un orso nè una foca!
Spero sempre.
Ore 9. Sono riuscito dopo sforzi inauditi a passare il mastodontico iceberg: ma quale delusione! Tutt’intorno è un canale di acqua largo in media m. 200. Problema: lasciare i cani stanchi al loro destino e col caiacco passare od attendere? Il cagnaro è attaccato ai suoi cani che fanno pena: non mangiano da due giorni! Non ha tutti i torti poichè in fondo possono servire da pasto. La deriva dei ghiacci è forte in direzione sempre di S.E. Salgo un picco di ghiaccio e noto che a N.O. il ghiaccio è fermo. Tenterò di raggiungere qualche parete per passare colà e raggiungere Broch da Nord Ovest.
28. Sono riuscito ma ora mi trovo tra ghiacci deformati, irregolarissimi dove il procedere è faticoso e pericoloso. Un metro di neve molle li ricopre mascherando l’acqua ove involontariamente vi si cade continuamente.
Siamo completamente inzuppati, i saccapeli e la tenda sono pieni di acqua: persino la carta è bagnata. Avevo 286 corone e dispero di salvarle. Caricarsi sulle spalle questi indumenti, necessarissimi, così appesantiti è impossibile.
Il mio compagno trema dal freddo, la nebbia ci avvolge!
Ore 15: mi fermo.
Il mio compagno si addormenta profondamente. Rifiuta il pemmican unico vitto ormai. Mezzanotte, la nebbia si è alzata. Sveglio il mio compagno, voglio ad ogni costo raggiungere l’isola di Broch. Dopo vedrò. Se avessi con me due alpini le cose sarebbero andate molto meglio. La colpa è tutta di Baldizzone (Francesco Baldizzone era il secondo in comando sulla Città di Milano e coordinava le operazioni di soccorso presso Nordaustlandet) il quale come tutti i marinai non vedono che norvegesi. Non voglio fare polemiche, ma a suo tempo, certo, dirò quanto devo ed a chi di dovere.
Vale più un mio alpino di tutti questi decantati norvegesi.
29 giugno. Isola Broch.
Ore 6. Sono riuscito ad arrivare ad un km e mezzo dall’isola, ma ora l’alta marea sta sconvolgendo di nuovo i ghiacci.
Fortunatamente riesco a stabilirmi sopra un banco di m² 40 circa che pare arenato.
Gli effetti della corrente sono impressionanti: massi che si capovolgono altri che emergono improvvisamente con boati e risucchi spaventosi.
La vita qui è proprio un caso! Sto allerta per afferrare la prima occasione per mettere piede sulla terra.
Ore 10. Finalmente il mare si calma e facendo due viaggi col caiacco in due ore siamo tutti sulla terraferma.
Ore 12. Benedetta isola di Broch, ti saluto o sospiratissima.
L’isola è lunga circa 4 miglia, alta s.m. circa 150 m. Rocciosa e sulla costa levigata dai ghiacci emergono rocce. Fra queste si affonda nella neve sino alla cintola. Mi stabilisco sulla punta meridionale. Metto tutto ad asciugare: il sole fa capolino. Orsi: niente. Foche: niente. Renne: niente. E’ necessario sacrificare un cane per cibare gli altri: mesto ufficio che lascio fare al mio compagno. Ora al mio fucile l’incarico di procurare il cibo per noi. Inforco gli sci e mi avvio lungo la costa: tre colpi e due magnifiche anitre sono in mio possesso. Tronchi d’albero sono disseminati qua e là. Penso alla mia praticissima cucina rovinata completamente dai cani mentre li lasciammo soli per esplorare i ghiacci. Rimedio usando come pentola una (e l’unica) scatola di Glax-ovo ormai vuota. Salgo la cresta dell’isola per esplorare i ghiacci tra questa e Foyn ed ho la fortuna di constatare che vi sono molti nidi con grosse uova eccellenti. Ecco risolto il problema logistico. Ma ciò che mi preoccupa è di raggiungere al più presto Foyn.
Tra le due isole vi è forte corrente: noto che parte dei ghiacci viaggiano a Nord, parte a sud. Tra queste due opposte correnti molti stagni con ghiaccio giovane che impedisce l’uso del caiacco e nel contempo non regge il peso di un uomo. Dovrò attendere e forse per molto tempo, in attesa della favorevole occasione. A Nord ed a Sud dell’isola i ghiacci sono come quelli che ho lasciati. Mai avrei creduto di trovarmi a lottare così sul pack che chiamano polare.
Eppure gli aviatori norvegesi mi avevano assicurato che i ghiacci erano buoni cosicchè io contavo come disse anche Riiser Larsen e Luthzow di raggiungere Nobile in 5 giorni. Cinque giorni mi ci vollero dall’isola (da me scoperta e che dedicherò agli alpini) ad ovest di capo Bruun a qui. Quanto tempo mi occorrerà ancora per arrivare da Nobile? Arriverò in tempo? Spero, il resto non mi preoccupa.

I due uomini decisero che dovevano assolutamente raggiungere Foynøya ed a costo di sforzi enormi vi giunsero il 4 Luglio. Nei giorni successivi al loro arrivo, sebbene affamati ed al limite delle forze, intrapresero diverse perlustrazioni dei ghiacci circostanti alla ricerca dei dispersi. Purtroppo senza successo.
L’11 Luglio un aereo li sorvolò senza tuttavia avvistarli. Il giorno seguente, dopo aver mangiato uno dei tre cani sopravvissuti, videro il fumo del Krassin, il rompighiaccio Sovietico, che era intento a soccorrere Mariano e Zappi nelle vicinanze dell’isola Karl XIIøya. Più tardi il Krassin proseguì la sua rotta verso oriente e poterono udirne la sirena quando i superstiti della Tenda Rossa vennero salvati. Fortunatamente dalla nave videro Sora e Van Dongen e la sera stessa 3 aerei, Svedesi e Finlandesi, provenienti dal campo base Svedese di Russøya, nello stretto di Hinlopen, ammararono vicino a Foynøya. A quel punto i due uomini erano al limite della sopravvivenza e probabilmente non sarebbero mai stati in grado di ritornare al campo base.
Sora e Van Dongen intrapresero un viaggio in condizioni estremamente difficili ed esplorarono la costa settentrionale di Nordaustlandet, una delle parti meno conosciute dell’arcipelago, fornendo un grande contributo alla conoscenza dell’area.
Molti sono i nomi Italiani presenti sulle mappe delle Svalbard a ricordo indelebile di quegli avvenimenti, primo fra tutti Alpiniøya, un piccolo lembo di terra desolato ed inospitale situato al limite della banchisa polare. Testimone per sempre della volontà e dell’ardimento delle Penne Nere.
bellissimo articolo
Grazie molte!