Sono luoghi dell’altrove per eccellenza. Divise tra Argentina e Cile, proprio all’estremità sud delle Americhe, Patagonia e Terra del Fuoco hanno sempre evocato avventura, esplorazione, lontananza un po’ misteriosa. Terre remote e selvagge, che hanno calamitato esploratori, scienziati, proprietari terrieri, vagabondi, anche persone in fuga –magari per cercare se stesse- scalatori e marinai in cerca di sfide.
Buona parte di queste terre è stata scoperta grazie al contributo di esploratori italiani.
Con Piero Bosco siamo andati tempo fa sulle tracce del sacerdote salesiano padre Alberto Maria De Agostini e di Giacomo Bove, entrambi piemontesi. Tra le ultime decadi dell’ 0ttocento e la prima metà del novecento diedero un contributo fondamentale nella scoperta di ampie zone di Patagonia e Terra del Fuoco.
Quello che segue è un piccolo diario di viaggio. Un diario, anche, di emozioni.
PATAGONIA: IMPRESSIONI
Dalla città di Punta Arenas puntiamo verso nord, verso alcuni dei luoghi più straordinari della Patagonia, legati a De Agostini.
La strada che percorriamo ha un nome che è tutto un programma, “fine del mondo”.
Ecco le prime immense spianate, una delle cose che più colpisce chi viene da queste parti per la prima volta: siamo abituati a spazi molto più raccolti, ovunque giriamo lo sguardo vediamo almeno un edificio, spianate senza il nulla assoluto non le possiamo vedere in nessuna parte d’Italia. Tra le nuvole intravedo il blu intenso del cielo patagonico, con l’aria pulita dai fortissimi venti, che battono incessanti su questa parte del mondo…
Ben presto, ecco i primi rilievi. Sono l’ anticamera di un posto che conserva uno tra gli spettacoli di natura e montagna più belli della Patagonia e dell’intero pianeta…
Le Torri del Paine mi colpiscono per la loro isolata grandiosità, austere cattedrali dai colori difficilmente credibili se non le si osserva di persona.
Per di più, la luce del tramonto patagonico sembra rendere tutto ancora più magico, regalandoci un vero spettacolo: come immensi quadri dipinti da un gigante, il cielo di Patagonia ci mostra le sue nubi lenticolari, dalle forme e dai colori più vari, sospese in cielo dalle correnti causate dalla Cordillera delle Ande. Alcune sembrano dischi volanti immobili nel cielo….altre sembrano nuvole finte, come quelle costruite al computer per film di fantascienza …
Per molti artisti, qui c’è la luce più bella del mondo.
E continua ad accompagnarci, implacabile, un vento come forse non avevo mai provato in vita mia. Ma non è una sensazione negativa: amo il vento e, senza questo, il concetto stesso di Patagonia non può esistere… Sicuramente, il vento è uno degli attori principali di questa parte del mondo…
Accanto alle Torri del Paine, dall’immensa calotta glaciale patagonica, scende il ghiacciaio Grey, dal quale origina il lago. Una volta sul lago, basta dare un’occhiata al colore argenteo delle sue acque per capire perché si chiama “Grey”…Camminiamo su una stretta lingua di sabbia a livello dell’acqua, dove il violento vento patagonico non ha ostacoli, ed è quasi difficile reggersi in piedi…..
Un vento che agita questo bacino glaciale, facendo sembrare due piccoli iceberg alla deriva altrettanti vascelli fantasma, che sembrano avanzare nelle acque …
Lasciamo le Torri del Paine e continuiamo il nostro viaggio verso nord.
Il cono sud del continente americano è una terra selvaggia, con spazi enormi completamente disabitati. La Patagonia si estende per ben 900.000 km quadrati.
Un clima arido, fresco e ventoso, per 2000 km di lunghezza.
Troviamo un cartello lungo una strada sterrata, nel mezzo del nulla più assoluto: entriamo in Argentina. Prima e dopo questa linea immaginaria, piccoli, sperduti posti doganali…
Stiamo percorrendo parte della mitica “Ruta 40”, 5000 km in terra battuta e asfalto –sogno per generazioni di “on the road”- che va dalle porte della Terra Fuoco fino al nord dell’Argentina. Cominciano interminabili rettilinei, che si perdono all’orizzonte per decine di chilometri.
Puntiamo sulle rive del lago Argentino, il più grande del Paese.
Con la sua parte occidentale, il lago è al centro di un grande sistema di ghiacciai, tra i più imponenti al mondo, che scendono dalla Cordillera. E la terza massa glaciale della terra, dopo il vicino Antartide e la Groenlandia. 724.000 ettari, ben 48 ghiacciai, un’area dichiarata dall’ Unesco patrimonio naturale dell’ Umanità.
Il lago Argentino riceve nelle sue acque la fronte finale di molti di questi enormi ghiacciai.
Uno di questi colossi di ghiaccio è il Perito Moreno. Siamo di fronte ad un’altra delle meraviglie del mondo, ora divenuta una delle mete turistiche più conosciute.
Tra i pochissimi ghiacciai al mondo ancora in fase di espansione, il Perito Moreno ha una fronte lunga 5 chilometri. Lo spessore della lingua terminale tocca i 60 metri.
Sembra quasi un’immensa onda, simile ad uno tsunami, che si sia improvvisamente ghiacciata. Non è difficile sentire continui scricchiolii, spesso preludio ai crolli in acqua di bastioni di ghiaccio alti decine di metri, accompagnati da un boato particolarissimo…è il gigante che continua a muoversi… La parte alta del ghiacciaio è tutto un susseguirsi di guglie e picchi dalle forme più disparate, dai colori incantati….
Attraversato uno dei bracci del lago Argentino, decidiamo di fare un’escursione proprio sul ghiacciaio. Attorno a noi, un silenzioso mondo di ghiaccio, e formazioni tra le più bizzarre. C’è solo il rumore dei nostri ramponi che artigliano il ghiaccio sotto di noi.
Vediamo piccoli ruscelli tra il ghiaccio, acqua cristallina, purissima, che sembra sgorgare e scorrere tra diamanti. Crepacci profondi chissà quanto, dove il blu si trasforma in una minacciosa tonalità scura, “abissale”….
Arriviamo al culmine di questo nostro viaggio patagonico, prima di far ritorno verso sud, e affrontare i misteri della Terra del Fuoco….
Arriviamo alla base di due delle montagne più spettacolari e conosciute del mondo: i 3.360 metri del Fitz Roy, e –accanto a lui- il Cerro Torre, con tutti i ricordi legati all’alpinismo italiano.
Con Piero decidiamo di compiere un’escursione per arrivare fin sotto le guglie del Cerro Torre, passando a lato del Fitz Roy. Il gigantesco monolite del Fitz Roy catalizza l’attenzione di ogni persona che arrivi fin quassù. Pur amante delle Dolomiti, resto molto impressionato dalla sua vista: sembra la cima centrale di Lavaredo, ma moltiplicata –in grandezza- non so per quanto.
A fine giornata avremo camminato per ben 19 chilometri, seguendo il percorso compiuto da Padre De Agostini. Raggiungiamo il lago proprio sotto il Cerro Torre, la “Laguna Torre”.
Il vento, quassù, diventa improvvisamente violentissimo. Purtroppo –come spesso accade- il Cerro Torre si nasconde anche ai nostri sguardi, avvolto dalle nubi. Per poterlo vedere, chi può attende per giorni e giorni.
E’ il momento di tornare verso sud, verso la città di Punta Arenas. Ci attende la Terra del Fuoco, estremo avamposto del pianeta verso il polo sud…
E’ l’ora di percorrere centinaia di chilometri nella famosa spianata patagonica, allontanandosi un po’ dalla cordigliera andina… Steppe infinite, con rilievi quasi nulli. L’aridità è dovuta alle Ande, che in qualche modo proteggono queste lande desolate dalle perturbazioni cariche di umidità provenienti dal Pacifico. Ancora una volta, questo è il regno del vento, sempre lui, quello occidentale, che può flagellare queste praterie anche a 130 km orari…
Mi rendo conto perchè queste terre hanno qualcosa di magnetico… La Patagonia attrae da sempre anche i sognatori. Si va avanti, sempre avanti, magari alla ricerca di qualcosa di indefinibile. Strade dritte verso il nulla, verso un orizzonte che non cambia mai, in attesa che si materializzi qualcosa…
E’ il regno isolato e incontrastato di milioni di pecore, e di gauchos solitari.
Il regno delle grandi estancias, gli immensi allevamenti di ovini, che fanno la ricchezza di queste lande australi. La Patagonia produce lana per mezzo mondo. Industrie dell’abbigliamento, anche italiane, tengono qui greggi immensi per i loro filati e i loro tessuti. Ci sono 18 milioni di ovini, e 2 milioni di esseri umani: poco più di un abitante per chilometro quadrato, contro i 190 dell’Italia….
Puntiamo verso sud, sapendo di dover toccare –prima o poi- quello che sulla mappa appare come un centro abitato. Il suo nome, Esperancia. Quando ormai dovremmo esserci, incontriamo una sgangherata pompa per il rifornimento del carburante. Accanto c’è un solo edificio –anch’esso, come la pompa di rifornimento, ha conosciuto tempi migliori, probabilmente molti anni fa…- dove ci si può ristorare con qualche panino dall’aspetto un po’ sinistro, e con qualche bibita, fortunatamente con tappo sigillato. Un muro di questo locale dall’aspetto, diciamo così, leggermente trasandato, è interamente coperto da scritte e frasi lasciate da chi è passato da quelle parti. Mi faccio dare un pennarello, e anch’io scrivo qualcosa. Quando chiedo quanto manchi ad Esperancia, l’uomo dietro il bancone mi dice che Esperancia è questa: il locale dove ci troviamo, e la pompa per il rifornimento lì fuori…
Continuiamo verso sud, lasciamo alle nostre spalle le enormi e piatte distese di questa zona della Patagonia, e ben presto torniamo sulle sponde dello stretto di Magellano, da dove siamo partiti, verso nord, verso la Patagonia.
Ora ci aspetta l’esplorazione verso sud, addentrandoci nei mari della Terra del Fuoco.
TERRA DEL FUOCO: IL FASCINO SEVERO DELLA FINE DEL MONDO
A sud della città di Punta Arenas, con Piero Bosco ci imbarchiamo su un piccolo battello, di soli 16 metri, interamente in legno. Una volta usato per il trasporto del pesce, poi è stato in qualche modo riadattato per ospitare sparuti scienziati nelle loro spedizioni fin quaggiù.
Non certo un’imbarcazione moderna, i segni di qualche acciacco sono abbastanza evidenti, e magari, viste le acque nelle quali stiamo per addentrarci, un battello un po’ più grande non avrebbe certo guastato… Ma non ci facciamo troppo caso…
Le sistemazioni sono ovviamente un po’ spartane: alcune cuccette con sacco a pelo sistemate nella pancia del battello, dove dobbiamo entrare e camminare ricurvi, dato il “soffitto” molto basso: ma, ovviamente, per noi va benissimo così.
Nella minuscola cabina di comando, un paio di piccole radio saranno il nostro unico e spesso precario contatto con la civiltà….. Navigheremo in acque molto poco frequentate, in assoluta solitudine… Stiamo per affrontare la magìa, ma anche in certi casi la durezza della Terra del Fuoco, all’estremo lembo desolato della terra, a sud.
Questo è il confine tra la terra degli uomini e i grandi silenzi dell’ Antartide.
Più a sud di noi c’è solo il terribile capo Horn, e l’oceano, sferzato dalle tempeste.
Il sole –molto pallido- riesce a fare capolino tra nubi scurissime, preannunciando che le condizioni meteo non saranno delle migliori per navigare in queste acque…
In breve passiamo davanti a Capo Froward: questo promontorio è il punto esatto dove finisce la terra, il continente, dove finiscono le Americhe, dalla punta nord dell’Alaska fin quaggiù. Siamo a 53 gradi, 53 primi, 51 secondi – sud. Da questo punto, sormontato da una grande croce, c’è solo un immane dedalo di isole e di fiordi, prima del mare antartico.
Nel ramo dello Stretto di Magellano che guarda verso nord-ovest, facciamo subito un incontro a dir poco emozionante. Notiamo sbuffi d’acqua in lontananza: è il chiaro segnale della presenza di balene. Ci avviciniamo a questi grossi cetacei, tentando di non disturbarli troppo… Nonostante l’enorme mole –possono raggiungere i 19 metri, e pesare 40 tonnellate- queste megattere si esibiscono a pochi metri dalla nostra imbarcazione in movimenti che sembrano una danza, lenta ed elegante … Un incontro che ricorderò a lungo…
Provo una certa emozione a navigare in queste acque, qui in Terra del Fuoco, dove tra fiordi giganteschi, picchi e ghiacciai, si respira un’ aria davvero particolare….Il paesaggio –pur grandioso- incute una certa sensazione che sfiora l’inquietudine..
E’ un autentico puzzle di isole e canali, come se la punta dell’ America meridionale si fosse sbriciolata. Complici le brutte condizioni meteo, l’ atmosfera sembra un po’ cupa, fosca.
Si immaginano forse parte delle emozioni provate da chi –prima delle accurate esplorazioni di Padre de Agostini e di altri – si spinse per primo in queste acque allora sconosciute, questi fiordi….., ma con ben altri mezzi, rispetto ai giorni nostri…
Era un mare inviolato, finchè non arrivò Magellano, nel 1520: riuscì a districarsi in questo dedalo di fiordi, isole e insenature, e scoprì questo passaggio tra Pacifico e Atlantico, lo stretto che ora porta il suo nome, il passaggio tra i due oceani senza essere costretti a doppiare Capo Horn….
Le notti le trascorriamo gettando l’ancora del battello in piccole calette lungo lo Stretto, al riparo da vento e correnti. L’ imbarcazione viene assicurata in questo caso anche con alcune corde, legate dall’equipaggio a grosse piante, che sulle pendici di queste alture arrivano quasi a sfiorare l’acqua del mare.
Una mattina ci risvegliamo addirittura sotto una discreta nevicata !
Va bene il tempo inclemente, potevo immaginarmi molta pioggia e vento qui in Terra del Fuoco, ma la neve a livello del mare, beh, forse non l’avevo prevista…
Tentiamo di effettuare un primo sbarco. Il nostro obiettivo è il ghiacciaio di Santa Ines, che getta la sua mole in una stretta baia . Ma il maltempo non ci molla: tira un vento così forte che la pioggia, copiosa, sembra cadere in maniera orizzontale…
Dobbiamo restare al coperto sull’imbarcazione, a scrutare la situazione dalla piccola cabina di comando… Alla fine dobbiamo arrenderci, e fare rapidamente retromarcia.
Le onde causate dal vento molto forte potrebbero portare il nostro piccolo battello a sbattere contro le rocce, con conseguenze facilmente immaginabili…
Nonostante i pericoli di estinzione, Terra del Fuoco e Patagonia restano una delle più grandi riserve faunistiche del pianeta: in queste lande, l’invasione umana è arrivata più tardi… A queste latitudini c’è un habitat particolare, per un mondo animale straordinario: balene, foche, otarie, leoni ed elefanti marini, 297 specie di uccelli, un vero record (tra cui albatros, cormorani, gabbiani, pinguini). Con il nostro battello, passiamo vicinissimi ad alcune isolette dove troviamo colonie di leoni marini e otarie… I maschi dei leoni marini possono arrivare a due metri e mezzo e pesare 350 chili. Qui in Terra del Fuoco –anche a causa della caccia- oggi c’è solo il 15% della popolazione presente negli anni ’40. Incuriositi da noi, alcuni esemplari si avvicinano con circospezione, e ci osservano….per immergersi velocemente non appena il battello arriva troppo vicino….
In una piccolissima caletta riusciamo ad intercettare da pochissimi metri un paio di Pinguini di Magellano. Tra i primi colonizzatori di queste terre ci furono i Gallesi, ai quali non sfuggì la vistosa striscia bianca sopra gli occhi di questo buffo uccello marino: in dialetto gallese,è chiamata “ pen-gwin”.Magellano li aveva descritti nelle sue memorie come “grandi oche pessime da mangiare perché coriacee e puzzolenti di pesce…”
Dirigiamo decisamente verso sud est, verso il fiordo che porta il nome di padre De Agostini, in una delle zone più spettacolari della Terra del Fuoco.
Navigando sempre nelle acque dello Stretto di Magellano, ripensiamo alla descrizione che di questi luoghi remoti fece Charles Darwin, che passò qui nel 1834 con la nave Beagle: “Terra montuosa, in parte sommersa dal mare, così golfi e passaggi profondi occupano il luogo dove dovrebbero esistere le valli. I fianchi delle montagne, fino all’acqua, sono coperti da una grande foresta”.
Lasciamo lo stretto di Magellano proprio al suo vertice meridionale, e ci inoltriamo nei giganteschi fiordi, sempre più a sud, seguendo la stessa rotta di Padre de Agostini.
Nonostante il maltempo ci nasconda gran parte dello spettacolo che potrebbero offrirci zone del pianeta come questa, cominciamo a intravedere attorno a noi cime grandiose, che con le loro forme riescono in qualche modo a sconfiggere i pesanti nuvoloni, e a rivelarsi ai nostri occhi… Avvicinandoci al fiordo che porta il nome di Padre de Agostini, capiamo perché è stato deciso di dedicare questa zona al salesiano piemontese: le montagne diventano sempre più imponenti, a tratti ricordano le Alpi, con picchi e torri spettacolari…
De Agostini parlò di “severa maestà di questo vergine spettacolo della natura”, di queste montagne tra le più remote della terra, di spettacolari sfilate di ghiacciai che si buttano nelle gelide ed oscure acque di questi fiordi remoti…..Un mare di silenzio e di ghiaccio”.
Riusciamo a sbarcare un paio di volte vicino ad alcuni dei tanti ghiacciai della zona. Quando si tocca terra in posti come questi, si ha quasi la sensazione di camminare su sabbie e sassi praticamente vergini. C’è un silenzio quasi irreale, mentre si è al cospetto di questi spettacoli offerti da una natura titanica…Oltre alla maestà e alla grandiosa potenza che emanano questi giganti di ghiaccio, si nota anche una vegetazione rara, si captano strani e piacevoli profumi…
Fiordo De Agostini, fiordo Negri, valle Lovisato, monte e ghiacciaio Italia, monte e ghiacciaio Roncagli, monte Vinciguerra, lago De Gasperi, monte e ghiacciaio della Vedova, e molti altri….sembra quasi di stare in Italia, in queste terre selvagge e remote…
Come De Agostini ai primi del ‘900, anche Giacomo Bove ha legato il suo nome alla Terra del Fuoco,nella seconda metà dell’ 800. Sembra incredibile, ma personaggi come Giacomo Bove, e lo stesso Padre de Agostini -nonostante tutto quello che hanno fatto- non sembrano godere della notorietà dovuta nel nostro Paese. Mentre invece, qui in Sudamerica, il salesiano torinese gode di una popolarità importante.
Siamo ormai al culmine sud della nostra avventura in Terra del Fuoco, proprio all’estremità del Fiordo dedicato a De Agostini. Qui ho potuto capire concretamente quanto estrema e selvaggia sia questa parte della Terra del Fuoco….Metà Eden e metà inferno, il vero capolinea del pianeta.
Proviamo a tornare nel piccolo porto a sud di Punta Arenas, da dove è partita questa nostra navigazione in Terra del Fuoco. Questa terra si conferma di una grandezza inquietante, con paesaggi che sembrano scolpiti dal vento e dalle intemperie. Un vero avamposto davanti al nulla. Una natura bellissima e severa. Che richiede voglia di avventura e spirito d’adattamento. Cieli cupi. Le tonalità dominanti restano quelle del grigio, delle montagne, delle acque, delle nuvole…
Il clima della Terra del Fuoco non sembra darci tregua….forti e gelidi venti alzano il mare, e il nostro piccolo battello inizia la sua lotta contro le onde…onde di 4-5 metri, capaci di scrollare molto la nostra piccola imbarcazione. Siamo sballottati con violenza….a bordo non si riesce a stare in piedi senza tenersi saldamente con entrambe le mani…
La perizia del comandante al timone, oltre alla sua conoscenza di queste zone, ci porta senza danni a rifugiarci in una provvidenziale caletta…
“Avere pazienza…aspettare…” sembrano parole strane in una spedizione…eppure sono concetti fondamentali, importanti, che servono ad evitare un mucchio di guai…
Con Piero decidiamo di approfittare di questa sosta forzata per dare un’occhiata ad un isolotto poco distante, dove abbiamo avvistato alcuni elefanti marini. Dopo un breve tragitto in gommone, all’arrivo ci attende una croce isolata piantata nel
terreno, con un piccolo rosario e unorologio, ricordo di un pescatore vittima di un naufragio in questa zona, nel 2009.
La reazione dei grossi leoni marini è una pigra indifferenza: non sembrano disturbati troppo dall’ essere umano. D’altronde, con Piero siamo tra i pochissimi ad esserci spinti in queste lande desolate e selvagge, sicuramente fuori dai circuiti più frequentati di un turismo, seppur estremo… Gli elefanti marini sono diffusi in tutto l’emisfero sud, e anche se si trovano a latitudini molto alte, sono principalmente a nord del pack. I maschi arrivano vicino ai 6 metri di lunghezza e ai 3500 chili di peso.
Continuiamo la rotta verso nord. Ormai ho rinunciato alla speranza di vedere questa parte di mondo, almeno per qualche minuto, con un tempo clemente. Ma il maltempo che ci ha accompagnato non ha intaccato il fascino di questo insieme di montagne, ghiacci e mare. Una terra che è sembrata chiedere aiuto a pesanti nuvoloni per restare misteriosa, quasi imprendibile, inaccessibile.
Rinavighiamo nello strettissimo, insidioso passaggio Gabriel, dove è ben visibile un faro di segnalazione delle rocce vicine e sporgenti. Il comandante del battello decide di attraversare lo Stretto di Magellano. Le acque sono ancora abbastanza agitate, ma l’approdo finale, la terraferma, sono ormai vicini…
Ed infine, ecco la piccola caletta, un porticciolo, a sud di Punta Arenas.
I motori del nostro piccolo battello si spengono definitivamente.
Padre De Agostini e Giacomo Bove vennero fin qui perché letteralmente ammaliati da queste terre, un misto di Alpi, Scandinavia, laghi e fiordi artici, foreste canadesi, steppa australiana, ghiacciai enormi che buttano in mare o nei laghi.
Luis Sepulveda ha scritto: “ A sud del 50° parallelo comincia un mondo con un differente senso dello spazio, del tempo, della distanza. Un mondo di pienezza, felicità, ingenuità, alieno dall’idea perversa di esistenza come “avere e possedere”, riflessa nelle nevrosi del Nord”.
Qui ci sono solitudini che possono anche spaventare, ma che –soprattutto- incantano.
Chi non c’è stato, magari non può capire. Chi c’è stato, vuole tornare.
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