La prima volta che sentii parlare di “trappole siberiane” drizzai le orecchie, la mia curiosità attizzata al massimo: pensai a qualcosa di avventuroso, cacciatori nella tundra e nella taigà, popoli nativi e animali selvaggi. Niente di tutto questo… ma qualcosa di ben più epico, addirittura apocalittico. Il fatto è che nel periodo a cavallo tra Permiano e Triassico, roba di circa 251,4 milioni di anni fa, mentre si stava verificando la più grave estinzione di massa che sia mai avvenuta sul nostro pianeta perché stavano scomparendo oltre il 90% delle specie marine e oltre il 70% dei vertebrati, il sottosuolo del territorio che oggi chiamiamo Siberia ribolliva di magma incandescente: in quella Siberia primordiale, sotto la crosta terrestre in subbuglio, scorrevano immensi fiumi di lava. Quando poi il magma si raffreddò e si consolidò, divenne roccia lavica, cioè basalto che restò imprigionato nel sottosuolo in quantitativi immani. Geologicamente parlando si era creata quella che viene definita una “provincia ignea”, dotata di un volume originario di lava stimato da 1 a 4 milioni di chilometri cubi, miniera quasi inesauribile che giace nel sottosuolo siberiano tra i 50 e 75 gradi latitudine nord e i 60 e 120 gradi latitudine est. E’ come se fosse una banca che, anziché essere piena di soldi e di lingotti, è colma di enormi accumuli di roccia vulcanica di uno spessore che può arrivare ai quattro chilometri, straricchi di nichel, rame, platino e palladio.
Bene, e allora che c’entrano le trappole? Non c’entrano per il significato che la parola ha nella lingua italiana ma c’entrano perché in questo caso trappola deriva dallo svedese “trappa” (scala, gradino): svedese era il geologo che per primo studiò la provincia ignea siberiana e ne osservò i contorni esterni che si presentano a forma di gradini, così da configurare la tipica conformazione a scala che secondo i geologhi caratterizza gli espandimenti lavici che si sono trasformati in basalto. E se vai a guardare su internet, Wikipedia ti dice: “Il Trapposiberiano o Trappole siberiane(in russo: Сибирские траппы, Sibirskie trappy) forma, in Siberia, una vasta provincia ignea. Si formò nel periodo a cavallo del Permiano-Triassico durante uno dei più imponenti eventi vulcanici conosciuti negli ultimi 500 milioni di anni della storia geologica della Terra”. E Sibirskie trappy è considerata la più vasta provincia ignea continentale.

I nativi siberiani mica lo potevano sapere che sotto i loro piedi c’erano i maggiori depositi di nichel, rame e palladio del mondo. Ma lo scoprirono i Russi in cerca di prospezioni nella penisola del Tajmyr: nel 1921 costruirono la prima casetta di legno nel territorio che nel sottosuolo custodisce oltre 1,8 miliardi di tonnellate di minerali. Siamo a oltre 69° di latitudine nord: attorno a questa casetta, che sembra uscita pari pari da un romanzo di Jack London tipo” Zanna bianca” o “Il richiamo della foresta”, i deportati di un gulag sovietico hanno fatto sorgere la città di Norilsk, la più settentrionale di tutta la Siberia, oggi la seconda città al mondo, dopo Murmansk, per popolazione residente oltre il Circolo Polare Artico e seconda dopo Jakutsk nella graduatoria delle città situate sul permafrost, cioè sul suolo che resta perennemente gelato.
Il gulag, che si chiamava Norillag, è stato chiuso nel 1956 ma lo sfruttamento minerario intensivo ha fatto di Norilsk la città del nichel per eccellenza, misteriosa e inaccessibile ma nota per essere classificata come uno dei 10 luoghi più inquinati del mondo. La classifica dipende dal fatto che da Norilsk e dal suo territorio provengono il 35% del palladio, il 25% di platino, il 20% di nichel e il 10% del cobalto utilizzati nel mondo.
Tutti noi, credo, abbiamo sentito nominare questi elementi ma mai ci siamo soffermati a pensare che senza questi elementi una notevole parte degli oggetti che usiamo quotidianamente non esisterebbe. Un esempio eclatante per tutti? Non avremmo lo smartphone da tenere in tasca.

Un poco mi sono documentato e da quel che ho capito se dovessi elencare tutti i modi in cui si utilizzano palladio, platino, nichel e cobalto, dovrei scrivere un’enciclopedia. Mi limiterò dunque ad accennare che il palladio è usato nell’industria come catalizzatore ed è fondamentale in gioielleria; che il platino è un metallo duttile e malleabile, usato perché particolarmente resistente alla corrosione; che il cobalto trova impiego nei più svariati settori e applicazioni, sostanziale nelle industrie automobilistiche ed areonautiche, indispensabile per le industrie petrolchimiche e per sofisticati congegni destinati ad usi HiFi di altissimo livello. Ma soprattutto importantissime sono le sue applicazioni nel campo della medicina: ad esempio il cobalto-60, radioattivo, impiegato come sorgente di raggi gamma, si usa nella radioterapia. Di contro è usato anche nell’industria degli armamenti ed è stata teorizzata la creazione della cosiddetta bomba al cobalto, distruttrice quant’altre mai. Ma basta così! Voglio parlare un poco più estesamente del nichel, giacché Norilsk è la città del nichel.
I minatori tedeschi anticamente lo chiamavano Kupfernickel(“rame del diavolo”), perché questo elemento ai loro tempi era materiale di scarto, roba di nessun valore. Il nome è di origine svedese: Nickel, diminutivo del nome Nicolaus, era il nomignolo che in gergo indicava sia un folletto che una persona del tutto inaffidabile.
Oggi bisogna invece sapere che circa il 77% del nichel consumato nel mondo viene impiegato per fabbricare acciaio inox austenitico, cioè quell’ acciaio inossidabile con più dell’8% di nichel che assicura la combinazione ottimale di proprietà meccaniche e resistenza alla corrosione. Gli acciai austenitici sono dunque adoperati in tutti i campi in cui più elevate sono le esigenze di resistenza alla corrosione. Austenitico, questo appellativo dell’acciao, deriva da austenite (nome dovuto a Sir William Chandler Roberts-Austen, metallurgista inglese), componente strutturale che conferisce agli acciai temprati il più elevato grado di tenacità. Un altro 12% del nichel prodotto viene impiegato in superleghe. Il restante 23% del fabbisogno è diviso fra altri tipi di acciao, adoperato per batterie ricaricabili, prodotti per fonderia e placcature, catalizzatori e altri prodotti chimici, nonché per il conio di monete.

I depositi di nichel di Norilsk sono incontrovertibilmente i maggiori depositi di nichel-rame-palladio nel mondo.
Il minerale viene estratto per perforazione fino a oltre 1.200 metri sotto terra, attraverso pozzi che immettono in più di 3000 km. di gallerie. I giacimenti sono localizzati ed esplorati utilizzando la geofisica del campo elettromagnetico con cui si è in grado di localizzare la componente di nichel a profondità superiori a 1.800 metri.
Tutta questa ricchezza, se così vogliamo chiamarla, fa sì che provenga da Norilsk l’1% delle emissioni globali di diossido di zolfo. In nessun altro posto al mondo c’è una concentrazione così elevata di anidride solforosa: le ciminiere la sputano nell’atmosfera mentre nelle fornaci il nichel viene separato ad alta temperatura dalle rocce in cui è mischiato ad altri minerali. Vengono anche disperse nell’aria tonnellate di metalli pesanti quali cadmio, piombo, arsenico, selenio e zinco. Ad esempio, solo nel 2012 sono state emesse nell’atmosfera quasi 2 milioni di tonnellate di sostanze inquinanti.

Pensare che proprio in quel 2012 io ci sono stato a Norilsk, sotto un cielo terso nel tepore di una calda estate, sotto il sole che per nulla faceva pensare che d’inverno sulla città cala il buio della notte polare; che la temperatura media annuale in città è di 10° sotto zero; che il freddo dura 280 giorni all’anno, 130 dei quali spazzati da forti tempeste di neve; che a volte d’inverno la temperatura minima raggiunge i 55° sotto zero; che durante le ondate di freddo gli autobus circolano in convogli, in modo che se un mezzo si blocca i passeggeri possono essere rapidamente trasferiti su uno degli altri; che i bambini restano chiusi in casa per settimane senza poter andare a scuola. Avevo letto che nel febbraio 2008 Norilsk era rimasta completamente isolata per 20 giorni, durante i quali la temperatura era scesa a meno 40 gradi ed era quasi impossibile camminare per le strade; la gente era costretta ad entrare e uscire di casa dal primo piano, arrampicandosi o scivolando sugli accumuli di neve causati dal “blizzard”, alti fino a 4 metri e mezzo.
Norilsk in passato era città proibita agli stranieri e anche gli stessi cittadini russi potevano accedervi solo con uno speciale permesso. In seguito al crollo dell’Unione Sovietica la città è stata aperta per un decennio ma nel 2001 è stata nuovamente dichiarata città chiusa e dal 2012 una parziale riapertura mantiene comunque in vigore norme restrittive di accesso: è vietato l’ingresso agli stranieri che non siano muniti di un permesso speciale per giustificati motivi di lavoro o non siano invitati da residenti nella città.
Ho letto per caso che nel giugno 2016 il Governo russo e MMC Norilsk Nickel, la compagnia mineraria che sfrutta questo che è il più grande deposito di elementi chimici del mondo, hanno chiuso gli impianti del nichel più obsoleti, costruiti dal 1942 in poi, per trasferirli nel più recente impianto metallurgico di Nedezhda, 12 km. fuori città, in modo da attenuare l’inquinamento nell’area urbana. E dunque non è più la Norilsk che ho visto in quella calda estate del 2012, provenendo da Dudinka, alla foce dello Jenisej, lungo il nastro d’asfalto che percorre dritto la tundra e sembra perdersi nell’infinito.

Rivedo la vecchia locomotiva. Non è un miraggio. È la vera locomotiva del treno che correva sulle rotaie della ferrovia costruita dai detenuti del gulag, condannati ai lavori forzati. Sta oggi ferma sui binari come un monumento, la grande stella rossa sul muso, sospesa sul viadotto di legno che supera un corso d’acqua, simbolo dell’epopea del progresso sovietico concimato da fatica, lacrime e sangue dei deportati. Poi due moderni obelischi da realismo socialista delimitano ai due lati il nastro d’asfalto, come fosse l’ingresso di una proprietà privata, di un ranch o una fazenda: grandi caratteri cirillici compongono la scritta “Norilsk la città del nichel”. Sullo sfondo compaiono ciminiere da cui fuoriescono stracci di fumi bianchi che il vento (Norilsk è città fortemente ventosa) disperde nel cielo azzurro come tracce di colore stese da un pennello impressionista. Una grande, monumentale, croce ortodossa in pietra pare messa a protezione di quel mondo di ciminiere. Sulla collina dove erano le baracche del gulag altre croci si innalzano verso il cielo come fossero croci che eruttano da una ciminiera: è il monumento memoriale alle vittime, morte di fatica, di fame e di freddo, di malattie e sfinimento. L’ingresso del campo di concentramento è oggi conservato come se fosse l’ingresso di un monastero ortodosso, fatto di legno della taigà, con le campane a suonare i momenti della commemorazione. Ai piedi della collina si estendevano gli stabilimenti inquinanti: dico si estendevano perché oggi, stante la notizia letta sui giornali, dovrebbero non essere più in funzione, archeologia industriale non so se smantellata o conservata come un monumento. Io ricordo il fumo denso come un mare, un girone d’inferno in cui le ciminiere comparivano e scomparivano come fantasmi, le gru parevano mostri antidiluviani, i camions emergevano d’improvviso dai fumi dardeggiando luci gialle che testardamente tentavano di perforare la nebbia. Si aveva l’impressione di una cappa velenosa che stagnava come un bubbone anche quando il resto del cielo conservava il suo azzurro.

Mi viene voglia di rivedere le foto che ho scattato in quei giorni d’estate del 2012: ce le ho in una chiavetta che innesto al computer. Sullo schermo mi compare un grande edificio dipinto di rosso nella parte inferiore e di giallo nella parte superiore…i colori della Roma, la squadra di calcio per cui faccio il tifo… ebbene sì, a questo pensai un poco infantilmente, me lo ricordo con un sorriso. E’ la Prospettiva Lenin, la larga via principale percorsa da sparute automobili e da autobus, gialli anche loro. Infatti Norilsk, grazie all’ impiego forzato di alcuni importanti architetti deportati dal regime comunista nel gulag, possiede, abbastanza sorprendentemente, un centro storico in stile classico socialista. Ed ecco allora l’immensa Piazza degli Eroi con la sua pavimentazione sopraelevata, Piazza Ottobre, circolare, con i bianchi e imponenti edifici che hanno richiamato ai miei occhi l’architettura fascista dell’ EUR a Roma, e la sede rappresentativa della compagnia MMC Norilsk Nickel, un palazzo fortezza che potrebbe benissimo stare a Mosca. E poi l’interessante architettura moderna del teatro della città, il Polar Drama Theater, il più settentrionale del mondo, e poi la Moschea dei Tatari, il luogo di culto musulmano più a nord che ci sia. Ricordo il bel museo dedicato ai nativi Nganasani con i loro costumi, gli oggetti di uso quotidiano e gli oggetti di culto. Soprattutto però mi piacquero i bellissimi diorama che ti immergono nell’ambiente incontaminato di un tempo, con animali e piante e gli Nganasani a caccia nella tundra. Ma quello che più mi colpì fu la “Prima Casa”, la casa dei pionieri tutta di legno costruita a Norilsk nel 1921, conservata religiosamente in mezzo ai palazzoni staliniani che invece di soffocarla sembrano proteggerla. La casa è custodita come un piccolo museo: ci si entra e tutto sembra in attesa dei pionieri usciti nella tundra per le loro prospezioni. Tutto è intatto com’era: il tavolo da lavoro, gli oggetti da cucina, le brandine con coperte di pelli, le mensole a parete, una scacchiera posata su una branda.
Al centro storico monumentale fanno corona i grandi e anonimi parallelepipedi delle case popolari: sui muri ciechi laterali campeggiano grandi cartelloni pubblicitari che conferiscono vita e colore al triste fondo grigio.

Poca gente per strada, perchè è giorno di lavoro e gran parte degli abitanti è impiegata negli stabilimenti di estrazione del nichel. Ricordo di non aver quasi visto bambini ma ebbi la sensazione che chi stava circolando in strada lo faceva come se volesse godersi appieno tutto quel sole estivo. Nulla denunciava la problematica realtà che è tuttora la stessa: i residenti lamentano difficoltà respiratorie causate dall’aria tossica che sono costretti a respirare. Il nuovo grande ospedale di Oganer, un quartiere satellite a 8 km. dal centro di Norilsk, deve far fronte ad un alto tasso di allergie, asma, malformazioni del sistema cardiovascolare, dell’apparato respiratorio e dell’apparato digerente. Infieriscono le malattie del sangue. Uno studio dice che i residenti di Norilsk hanno il doppio delle probabilità di essere colpiti dal cancro rispetto alla media russa. E come se non bastasse, l’aspettativa di vita è di 10 anni inferiore a quella degli altri russi. Per questo ai pensionati della città viene concessa la possibilità di trasferirsi in zone più salubri. A questo proposito venni a sapere che gli abitanti di Norilsk confinati in quel territorio isolato della Siberia settentrionale che è la penisola del Tajmyr si considerano abitanti di un’isola e chiamano “la terraferma” tutto il resto della Russia. E sulla cosiddetta terraferma, non appena può, chi lavora negli impianti del nichel, anche se lo stipendio che prende è sensibilmente più alto rispetto alla media degli stipendi in Russia, va a cercare migliori condizioni di vita. Per questo la popolazione di Norilsk si riduce ogni anno di diverse migliaia di persone: nel 2017 la città è scesa a circa 178.000 abitanti da oltre 200.000 che erano.

Già in quel 2012 in cui ci siamo avventurati, con Piero Bosco e altri compagni di viaggio, a conoscere la realtà della città probita su cui aleggiano il ricordo delle sofferenze dei deportati nel gulag e l’atmosfera tossica causata dagli stabilimenti per l’estrazione del nichel, la MCC Norilsk Nickel aveva stanziato due miliardi di dollari per un progetto ecologico che doveva garantire entro un decennio una qualità dell’aria in regola con gli standard europei. Ma ho letto, riguardo all’inquinamento, che nel 2016 il fiume Daldykan e una vasca di decantazione dell’impianto di Nedezhda si sono tinti di rosso per via del ferro ossidato contenuto nei rifiuti delle acque residue tracimate a causa di un alluvione. La Nasa però, dall’alto del suo sistema satellitare, dice che le acque si colorano di rosso fin dal 1997.

Il sole senza tramonto ancora avvolgeva Norilsk, indifferente ai fumi bianchi che le ciminiere eruttavano e il vento stracciava. Su un piccolo bus stavamo andando all’ aeroporto per prendere l’aereo che ci avrebbe riportato sulla “terraferma”. Fu attraversando Piazza Ottobre, imponente di bianchi edifici governativi, che vidi le tre ragazze e scattai al volo la foto che chiude la mia raccolta di vedute della città e mi compare adesso sul computer. Stanno sedute in panchina sotto il sole che riscalda la piazza monumentale: la ragazza a sinistra tiene le gambe accavallate, il viso nascosto da grossi occhiali neri, indossa un body, nero anche lui, che le scopre le spalle, e sembra persa dietro qualche pensiero mentre tiene in grembo un album da disegno con la matita pronta. Quella in mezzo è in pantaloncini corti, fluenti capelli bruni, e guarda la bionda accoccolata alla sua sinistra che con una mano scosta i capelli biondi e con l’altra scrive o disegna su un album. Le “Tre grazie” di Norilsk ho pensato, giovani donne simbolo di vita, parevano serenamente immuni da qualsiasi contaminazione. Chissà se vivono ancora a Norilsk o hanno lasciato la loro isola per raggiungere un luogo più vivibile sulla terraferma.
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