Ti prende all’improvviso, nel canale Lemaire, senza che te ne rendi conto. Forse è la selvaggia immensità del paesaggio che ti circonda e ti domina. Forse è il pack che stride al frantumarsi contro la prua della nave, lasciando intravedere un mare unico, mai visto, color piombo fuso. Forse sarà l’inenarrabile bellezza degli icebergs, coi loro pinnacoli protesi verso il cielo ed i colori blu cobalto, turchese e verde giada. Forse è quel bagliore strano che ci accompagna da ore, lontano, sugli immensi ghiacciai antartici… Non si sa come, ma il Mal d’Antartide si è già impossessato di te, subdolamente. Sei appena arrivato e già, inconsciamente, stai programmando di tornare.
FINIS TERRAE
La mite estate patagonica ci accoglie sorprendentemente ad Ushuaia, la più australe città del mondo. Cieli tersi, cirri in fuga, mare minaccioso. Due enormi “tre alberi” si stanno preparando a salpare per la Penisola Antartica. Un’impresa affascinante. Noi invece ci imbarcheremo su una motonave russa, il Professor Molchanov, con parecchie caratteristiche simili ai più forti rompighiaccio. L’equipaggio, di Murmansk, ci saluta con una simpatica accoglienza in russo, che nessuno ovviamente capisce. Sono specialisti in navigazione artica e antartica e saranno i nostri angeli custodi per l’intera traversata. La hall dove trascorreremo gran parte della navigazione è tappezzata di carte geografiche, storiche, biologiche del continente antartico. Siamo tutti lì, occhi lucidi, a sognare. Sulle carte scorrono i nomi dei più famosi esploratori e ricercatori polari: Amundsen, Scott, Bellinghausen. La nostra impresa è molto meno pretenziosa: ci spingeremo fino al 65° parallelo sud, sfiorando il Circolo Polare Antartico, navigando per una decina di giorni ad ovest della Penisola Antartica. L’emozione è comunque irrefrenabile.
Alle diciotto si salpa. Uno sguardo alla Terra del Fuoco che ci lascia, uno sguardo al famigerato Passaggio di Drake che ci attende. Ben presto la fama di uno dei tratti di mare più pericolosi del pianeta non tarda a far sentire i suoi effetti. L’onda lunga della corrente subantartica mette subito a dura prova metà degli escursionisti, che trascorrono orizzontali, in cabina, i due giorni di traversata. Sulla carta i mille chilometri che separano la Penisola Antartica dalla Terra del Fuoco non sembrano così difficili. Fortunatamente il rollio e il beccheggio del Molchanov non mi disturbano affatto e trascorro gran parte della giornata sul ponte, spesso con sensazioni termiche di meno dieci Celsius, osservando l’ineguagliabile volo degli Albatros Reali e le innumerevoli Procellarie Antartiche che ci seguono per tutta la traversata.
Avvistiamo vari branchi di Balenottera Minore Antartica (Balaenoptera Bonaerensis), dalla caratteristica pinna dorsale ricurva e alcune enormi Balenottere Boreali (Balaenoptera Borealis Schlegelii), che però scompaiono ben presto tra le creste dell’onda lunga. Non si può fare a meno di ricordare come sino a non molto tempo addietro questi cetacei siano stati oggetto di una indiscriminata caccia che ha portato parecchie specie all’orlo dell’estinzione. A tutt’oggi non è ancora stato possibile raggiungere un accordo totale sulla caccia ai cetacei. Soprattutto Giappone e Norvegia sembrano non volere sottostare alle leggi internazionali. Solo l’anno scorso sono state arpionate circa duemila balene d’ogni specie. “Whales, whales, on the right!!!”. Siamo nel terzo millennio ma l’avvistamento delle balene conserva inalterato il fascino e la drammaticità delle pagine di Melville.
SULLE ISOLE SHETLAND DEL SUD
Poi, la mattina presto, sorte improvvisamente da un mare color indaco, appaiono le vette di King George Island, dell’arcipelago South Shetland Islands. E’ il primo impatto con un territorio antartico, ma non siamo ancora sul continente. L’emozione è forte. L’equipaggio russo cala gli enormi Zodiac che ci porteranno a terra; la manovra è precisa, i movimenti studiati, la coordinazione perfetta. La discesa dalla scaletta laterale ed il passaggio sul gommone non sono semplici con l’onda che cambia continuamente l’assetto dell’imbarcazione. I consigli degli esperti marinai sono provvidenziali. Anche lo sbarco non è cosa da tutti i giorni. Sono necessari stivali impermeabili con suola Vibram per non scivolare sull’enorme scoglio di granito rosa reso scivoloso dalle onde e dalle alghe. Alghe, sì. Anche a queste latitudini e con basse temperature troveremo alghe e licheni. Sulla spiaggia ghiaiosa lo spettacolo è affascinante. Numerose colonie di Pinguini Pigoscelide Antartico (Pygoscelis Antarcticus), incuranti del nostro arrivo, proseguono indisturbati le loro faccende quotidiane, sgambettando su e giù, lungo la cosiddetta “autostrada dei pinguini”, e tuffandosi tra le onde per procurarsi il cibo per i piccoli. Prodigiosi i pinguini, continuamente in attività, perennemente all’erta. Sul mare antistante le colonie vive la più vorace delle foche, la Foca Leopardo (Hydrurga leptonyx) la cui unica attività è quella di attendere il tuffo dei pinguini per banchettare lautamente. Sembra che i pinguini abbiano elaborato una tecnica di tuffo comunitario per ostacolare l’attacco della foca, che non si azzarda ad entrare nel branco compatto. E’ interessante, ma contemporaneamente molto triste, vedere come il primo e l’ultimo pinguino del branco esitino a tuffarsi, quasi intuendo che la probabilità di essere la preda della foca aumenti per loro in modo significativo. Non a caso questa piccola isola si chiama Penguin Island: ci sono centinaia di colonie ed il periodo è propizio perché qualche uovo si è già schiuso e possiamo vedere i piccoli pigolare insistentemente per richiamare l’attenzione del genitore. L’attività nella colonia è frenetica: chi si becca per difendere il nido e il territorio, chi porta alla consorte piccole pietre per migliorare il nido, chi rincorre gli Stercorari sempre pronti ad afferrare uova e piccoli appena i genitori si distraggono. Simili ad enormi scogli, giacciono anche Elefanti Marini (Mirounga Leonina) e Foche di Weddel (Leptonychotes Weddellii), che sbuffano rumorosamente ad intervalli regolari, aprendo appena un occhio sonnolento per vedere chi è venuto questa volta a disturbare la loro invidiabile pace antartica. Guai ad avvicinarsi troppo, il morso è tremendo e se ne vedono le tracce sul collo di vari individui, feritisi durante le lotte rituali per il controllo del territorio e dell’harem.
Disteso sul guano che copre ogni metro della costa, cerco di avvicinare il più possibile qualche pinguino, ma senza disturbare. Sono curiosi e si avvicinano loro stessi, ma rimanendo sempre a distanza di sicurezza. Non bisogna toccarli perché il grasso dei nostri polpastrelli lascerebbe un odore indelebile sulle penne e l’individuo verrebbe allontanato dalla colonia. L’escursione riprende. Il tempo cambia ogni ora. Qualche bagliore lontano indica che il sole esiste ancora dietro le nubi minacciose, ma lo vedremo ben poco. Il mare si e fatto plumbeo, a volte piove, a volte nevica, ma quando il cielo schiarisce un poco lo spettacolo degli icebergs è incomparabile. Procediamo a zig-zag, lasciandoli a pochi metri, e ne possiamo ammirare le guglie, gli anfratti, i ponti naturali, le grotte e gli irripetibili colori: smeraldo, giada e blu intenso. Spesso osserviamo anche gruppi di pingini e qualche foca, che si fanno trasportare sino a quando avvistano i branchi di pesci più numerosi. Sbarchiamo a Deception Island, una caldera sprofondata che presenta ancora segni di attività perivulcanica. Qui ritroviamo per la prima volta tracce di civiltà: i resti fatiscenti del porto baleniero di Port Foster. Le carcasse di balene abbandonate, lo sfasciume di scialuppe insabbiate, il vagare di pinguini solitari tra le rovine degli opifici per la produzione dell’olio, rendono il luogo ancora più tetro. Tra le fumarole che fuoriescono dal bagnasciuga, mi spingo verso la ripida scarpata che porta al bordo della caldera. La vista è affascinante in tutta la sua drammatica bellezza. Il vento fortissimo mette a dura prova anche i più esperti volatori ed i vapori che si alzano dalla caldera si uniscono con le nebbie che discendono dalle alture dell’isola; il tempo sta peggiorando e il mare si sta ingrossando. Mi trovo davvero alla fine del mondo. Ma la spedizione deve continuare. Ci attende lo sbarco che da tempo si desiderava, sul continente antartico.
A 65° 14’ DI LATITUDINE SUD
Avviene alle cinque del mattino, ma non ce ne accorgiamo; a queste latitudini, in estate, la luce solare non ci lascia mai. L’asprezza del continente non si fa attendere. Ci dirigiamo verso il Canale Lemaire, attraversando lo Stretto di Gerlache. Presso l’isola di Nansen la navigazione è pressochè bloccata da un pack di circa un metro di spessore. Sta nevicando forte e benchè il momento non sia dei più facili non possiamo fare a meno di ammirare l’aspra bellezza del paesaggio. Dopo ben otto tentativi, riusciamo a scalfire la superficie di ghiaccio e proseguire la rotta. Molti gli sbarchi che riusciamo a portare a termine; non sempre è possibile salire sui gommoni o raggiungere la costa, dato che il tempo cambia molto velocemente. Le località che tocchiamo sono una più interessante dell’altra. Visitiamo colonie di Pinguini Papua (Pygoscelis Papua) e di Pinguini Adelia (Pygoscelis Adeliae). Ci avviciniamo a numerose comunità di Cormorani Imperiali ( Phalacrocorax Atriceps), osserviamo le interminabili rincorse tra pinguini e stercorari, il perfetto veleggiare dell’Albatros Reale del Sud (Diomedea Epomophora), i volteggi delle Procellarie. Raggiungiamo la massima latitudine sud che ci è concessa dalla presenza del pack, 65° 14’ South, e a malincuore siamo costretti a prendere la via del ritorno. Abbiamo sfiorato, pur senza poterlo superare, il Circolo Polare Antartico.
Anche il ritorno, al largo delle South Shetland, si presenta burrascoso. Avvistiamo molte balene, di diverse specie, e siamo costantemente seguiti da Albatros e Procellarie. A metà del Passagio di Drake incrociamo come per incanto la nave scuola russa “Kruzestern”, uno stupendo quattro alberi in circumnavigazione celebrativa del viaggio di Kruzestern e Bellinghausen, i padri dell’esplorazione antartica russa. Puntiamo verso il mitico Horn Cape, che avvistiamo durante un memorabile tramonto australe. Imbocchiamo nuovamente il Canale Beagle e i toponimi non possono non rievocare i più fulgidi momenti dell’esplorazione umana. Non senza commozione ricordiamo il passaggio di Charles Darwin, nel 1833, proprio sul brigantino Beagle, al comando del Capitano Fitzroy.
LA TERRA DEL FUOCO
Ushuaia ci accoglie all’alba, silenziosa. L’aereo partirà nel tardo pomeriggio e ci resta tempo per una interessante escursione al Parque de la Tierra del Fuego. La natura è aspra e selvaggia, come descritta nei diari di Darwin. Per una decina di ore esploriamo boschi di enormi Fagacee, guadiamo torrenti, studiamo il comportamento delle colonie di castori importati dal nordamerica. Ma il cuore è rimasto sulla Penisola Antartica tra le colonie di pinguini con i cormorani imperiali, con le grida stridenti degli stercorari. Un richiamo irresistibile, che non accenna a placarsi col tempo. Lo chiamano Mal d’Antartide.
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