L’era dell’industria della caccia alle balene ha avuto un impatto significativo sulle popolazioni di balene in tutta l’Antartide. Quasi tutte le specie di balene sono state gravemente decimate e alla fine degli anni ’60 è stata imposta una moratoria sull’attività baleniera per dare ai grandi cetacei il tempo di riprendersi. Oggi, il numero di balene si sta lentamente incrementando, anche se non con la rapidità sperata, come dimostra una recente proiezione presentata da alcuni scienziati australiani.
Entro il 2100, alcune specie di balene nell’emisfero australe, ancora non avranno raggiunto la metà degli esemplari presenti prima dell’inizio della caccia, mentre altre specie dovrebbero riprendersi entro il 2050. I risultati fanno parte della nuova ricerca CSIRO e UQ, che si propone di esaminare l’interazione della caccia storica, della disponibilità di cibo e dei cambiamenti climatici futuri per prevedere il numero di balene fino al 2100. Viv Tulloch, dell’università del Queensland e studente del CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization), affiliato al Centro di eccellenza ARC per le decisioni ambientali, ha dichiarato che questo tipo di approccio per cercare di prevedere il trend futuro dei cetacei nell’emisfero australe è stato utilizzato dai ricercatori per la prima volta. “Prevediamo che le popolazioni di balenottere azzurre, balenottere comuni e balene franche australi entro il 2100 non arriveranno a raggiungeranno un numero di esempleri pari alla metà di quello presente prima dello sfruttamento industriale, questo a causa dei bassi tassi di crescita e della pesante caccia a cui sono state sottoposte in passato. Anche se le megattere sono attualmente al 33% rispetto all’inizio della caccia, prevediamo che raggiungeranno un pieno recupero entro il 2050”, ha affermato Tulloch.
Le balene franche australi, che secondo i dati sono arrivate a contare appena 300 esemplari prima dell’istituzione delle leggi contro la caccia alle balene, partoriscono ogni due o tre anni, mentre le megattere generalmente lo fanno ogni anno. Il ricercatore senior del CSIRO e coautore del documento, la dott.ssa Eva Plaganyi, ha affermato che la ricerca è stata compiuta con l’utilizzo di un complesso modello di ecosistema soprannominato “MICE”, un acronimo per indicare un modello di complessità intermedia per le valutazioni dell’ecosistema. “Il nostro modello MICE utilizza i dati demografici delle balene dal 1890 fino ad oggi e quindi li accoppia con la disponibilità di cibo e con la fisica oceanica per comprendere i cambiamenti delle condizioni oceaniche a cui le balene possono andare incontro”, ha dichiarato la dott.ssa Plaganyi. “Le proiezioni circa il numero di balene nell’emisfero australe sono cruciali per la gestione e la conservazione e questa ricerca aiuta a rispondere ad alcune delle incertezze riguardanti il loro recupero”.
Fonte: Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization Australia
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