Arrivo ad Anchorage dopo un lungo, ma tranquillo volo. Entusiasmo alle stelle per tutto ciò che ci aspettava.
Avremmo dovuto avere un incontro con gli orsi il secondo giorno, in quanto prenotato un’escursione giornaliera. Partiti regolarmente con un piccolo aereo alla volta di Chinitna dopo due ore, dietrofront a causa di una brutta perturbazione.
No problem. L’Alaska è anche questo. Però, come dire… chi ben comincia è a metà dell’opera…..
Ci siamo accontentati del sorvolo dell’area limitrofa ad Anchorage che peraltro si è rivelata molto interessante dal punto di vista paesaggistico. E a dirla tutta, abbiamo anche visto dall’alto una mamma orsa con il suo piccolo. Quindi ci è andata bene.

Il giorno seguente volo per le Aleutine con destinazione Adak . Lì, quella che sarebbe stata la nostra casa galleggiante per 10 giorni ci stava aspettando. Vale la pena spendere due parole proprio su questo volo di avvicinamento.
Il tempo splendido, con una visibilità perfetta ci ha permesso di vedere tutta la catena di vulcani che si estende ad ovest dell’Alaska. Uno spettacolo. Eravamo tutti incollati ai finestrini. E le nostre macchine fotografiche hanno lavorato alla grande.

Arrivati ad Adak , ritiro bagagli e via verso il porticciolo. Gia’ il porticciolo.. ma la barca dov’è?
C’era eccome. Solo che era molto piu’ in basso rispetto al molo a causa della bassa marea. Superate le perplessità relative al modo di scendere utilizzando una lunga scaletta di ferro attaccata al molo, in maniera più o meno elegante, siamo riusciti a scendere. Finalmente siamo sulla PUK-KUK. Barca utilizzata per la pesca d’altura, 22 metri, robustissima. (E lo dimostrerà). I bagagli vengono calati a bordo dal nostro equipaggio: il comandante Bill, da Mike, corpulento “american boy” che si rivelerà un preziosissimo factotum, e da Piero, magro alpino di La Morra.

Preso possesso delle cabine, abbiamo acquisito subito la consapevolezza di quanto fosse limitato lo spazio. Con inevitabile sconforto abbiamo sistemato i bagagli nel miglior modo possibile. Facciamo conoscenza di un altro componente dell’equipaggio, la chef Xandra. Splendida ragazza americana con una passione smisurata per la buona cucina.
Questo aspetto è stato fondamentale. Ritornare dalle escursioni o semplicemente sedersi a tavola dopo una giornata di pesante navigazione e trovare un buon piatto cucinato ad arte, ha conferito alla nostra spedizione un importante valore aggiunto.
Partenza, bel tempo, tutti sul ponte, euforia. Si rientra: cena pronta. Ottima.
Il primo pernottamento lo facciamo nella tranquilla baia di Kuluk, poco distante da Adak.

1 luglio – Navigazione e primo incontro con una piccola colonia di leoni di mare di Steller. Cominciamo a prendere confidenza con le repentine variazioni del tempo e con il mare di Bering che, ci culla all’inizio e ci sbatacchia in seguito, riservandoci non pochi momenti in cui tutti possiamo esibire il nostro miglior aspetto da ‘zombie.’
Sbarchiamo a Great Sitkin, vecchia base militare usata come deposito per il carburante.
Ciò che rimane, un pontile distrutto, delle bitte affondate nella sabbia, pontoni di attracco,ci ricordano che, quello che oggi e’ un paradiso selvaggio e disabitato,un tempo era una delle tante location per i giochi di guerra fra esseri umani.
Un’aquila testa bianca ci guarda appollaiata su una roccia.

Il giorno successivo, navighiamo in direzione dell’isola di Atka,
Vento a 30 nodi, mare tempestoso. Dignitosamente sconvolti affrontiamo la situazione. Non siamo soli. Un tripudio di fulmari, alcidi, albatross e pulcinelle ci costringono a sfidare le leggi dell’equilibrio pur di fermare in uno scatto fotografico quei volteggi e quelle planate sulle onde.

Costeggiando l’isola scorgiamo delle renne che risalgono un irto crinale. Il sole ogni tanto ci saluta regalandoci arcobaleni dai colori tenui.
Sbarchiamo a Korovin. Poco lontano si erge l’omonimo vulcano. Uno tra i più attivi dell’Alaska.

A darci il benvenuto, sulla spiaggia due piccole volpi blu. Perfettamente mimetizzate nell’ambiente ci guardano incuriosite. Rimanendo a debita distanza per non spaventarle, riusciamo ad immortalarle con solo “qualche centinaio di scatti”.
Quei musetti pelosi, gli occhietti furbi ed i gridolini che emettevano, ci hanno riempito di ilarietà. Un incontro emozionante. Su di noi vigila il grande vulcano che non disdegna a rivelarsi senza le abituali nubi sul cratere.
Dormiremo e ci risveglieremo al suo cospetto.

Sole, cielo terso, cime dei vulcani innevate attorno a noi. Gli immancabili fulmari, le scatenate pulcinelle ed i gabbiani giocano con la nostra barca. Delle incredibili nuvole bianchissime assumono forme che ricordano a prima vista delle balene, dei delfini….Messaggio subliminale. Nell’arco di poco tempo gli inconfondibili sbuffi dei giganti del mare ci danno il buongiorno. Sono capodogli. Non sono soli. Delle orche si rivelano affiancandosi alla barca . Poi s’inabissano, ma rimarrano per un pò con noi. Le loro pinne affiorano puntualmente confermando la loro presenza.

Giornata ricca di emozioni. Per il pernottamento il nostro comandante ci propone una tranquilla baia nell’isola di Amlia.
E’ un posto, questo, da lui visitato diversi anni fa, fuori dalle rotte battute dalle navi e tra l’altro non ancora cartografato.
Definire idilliaco questo angolo delle Aleutine è un eufemismo. Del resto se viene chiamato anche “La camera da letto” un motivo ci sarà. Il silenzio “assordante”, la posizione molto protetta consente un ormeggio molto tranquillo. E tranquilla sarà la notte che qui trascorreremo.

Il risveglio, accompagnato dal profumo dei muffin appena sfornati che Xandra tutte le mattine ci prepara ci vede già iperattivi. Piero ci anticipa che visiteremo l’isola di Seguam dove si trova una delle più grosse colonie di leoni di mare di Steller. Lo sbarco avviene piuttosto lontano dalla colonia. In queste isole, i leoni di mare non essendo abituati ad interferenze territoriali, sono piuttosto feroci.

Mentre le femmine, seppur in posizione di allerta rimangono in spiaggia, appena ci siamo avvicinati con il gommone alla spiaggia i maschi dominanti si buttano in acqua venendoci incontro minacciosi. Indietreggiamo quel tanto che ci consente di poter fare delle buone riprese. Percorriamo un tratto di costa molto bella, con fondali limpidi e acqua “verde caraibi”.
Riprendiamo la navigazione in direzione delle Four mountains, gruppo di isole molto attive dal punto di vista vulcanico. Su tutte, svetta la cima del Cleveland e non solo per i suoi 1700 metri, quanto per la sua caldera sempre fumante (splendida è stata la sua vista dall’alto durante il volo Anchorage – Adak).

Un’altra giornata di sole ci aspetta. Per di più un grandissimo alone solare si offre a rendere ancora più suggestivo questo nostro risveglio. Il tempo favorevole ci permette uno sbarco in una lunga spiaggia accompagnati dalla nostra cuoca Xandra che ci descrive la ricca flora che ci circonda, rivelandoci le caratteristiche nutrizionali di diversi fiori e piante che non avremmo mai immaginato fossero commestibili. Ci attardiamo volentieri in questa escursione. L’energia positiva dell’ambiente circostante è tangibile.

Il giorno dopo, faremo meta nella vicina Kagamil. La pioggia però fa desistere qualcuno di noi dallo sbarcare. L’isola è famosa per le sue fumarole che si aprono sui fianchi della montagna, oltre che per le sue grotte che in passato erano usate per le sepolture delle locali popolazioni Aleut.
Pochi ardimentosi sbarcano. Il percorso che porta all’ingresso della grotta è impegnativo. Piove incessantemente e le roccie da affrontare per la risalita sono difficili da risalire. Piero riesce ad arrivare all’ingresso dell’antro, molto buio e impervio. Per fortuna riesce a fare alcune riprese interessanti su alcuni reperti funerari. Gli altri, nell’attesa del suo ritorno filmano la schiusa di alcune uova di gabbiano immortalando dei bellissimi pulcinotti appena nati.
Riunito il gruppo, si riparte in direzione Herbert Island dove trascorreremo la notte.

Al mattino successivo il comandante ci comunica che siamo autorizzati a sbarcare, per una visita di cortesia, nel villaggio di Nikolski. Ci troviamo nell’isola di Umnak e questo villaggio gode di una fama molto particolare in quanto è ritenuto l’insediamento umano che più a lungo ha vissuto in maniera continuativa in un luogo. Testimonianze archeologiche situate a nord dell’isola risalgono a 8000 anni fa, mentre il sito di Chaluka , ubicato nello stesso villaggio di Nikolski indica 4000 anni di costante presenza umana.

I pochi nuclei familiari che abitano sull’isola vivono prevalentemente di pesca e di allevamento. Un minuscola pista su ghiaia permette un collegamento aereo con la vicina Dutch Harbour. L’essenziale è garantito. Vivere qui è “una scelta di vita”. Sempre sotto la pioggia, giriamo per il villaggio, sbirciamo dietro i vetri delle case come bambini curiosi. Cerchiamo di immaginare la quotidianità vissuta durante il lungo inverno.
Si rientra a bordo, non senza aver immortalato dei bellissimi edredoni e dei voltapietra intenti a cercare cibo lungo una piccola ansa di sabbia.

La nostra navigazione procede. Il tempo non promette nulla di buono. Il bollettino annuncia vento molto forte. Il comandante ci raccomanda di fare attenzione nel muoverci durante lo sballottamento. La cosa si fa seria. Il mare di Bering ancora una volta ci ricorda il suo carattere. Onde altissime per una barca da pesca come la nostra. Il ponte completamente coperto d’acqua. Il pilota automatico viene saggiamente sostituito dalla conduzione del nostro comandante che in quel tratto di mare ha avuto modo di dimostrare di avere un grande feeling con la sua Puk kuk e di riuscire ad assecondare un moto ondoso veramente impegnativo.

Superiamo l’isola di Unalaska, vento e mare ci concedono un po di tregua. Pulcinelle di mare fulmari, albatros, megattere, orche e delfini. Tutti presenti. Una pinna qua, una schiena la, le code si sprecano. La verve è tornata e con l’umore alto arriviamo all’isola di Akutan dove ha sede la più grande industria di lavorazione del pesce del Nord America: La Trident Seafood.

Ottenuto il permesso per visitare il grande impianto di lavorazione e stoccaggio del pesce, ci fermiamo per il pranzo alla mensa del personale dello stabilimento. Ci siamo trovati a dividere il tavolo con gli operai: un crogiuolo di razze, per lo più
di colore, molti arabi, asiatici. Qualche domanda, qualche stato d’animo esternato ci hanno fatto capire quanto possa essere difficile una convivenza multirazziale così numerosa in un posto così isolato. Nei periodi di alta stagione per la pesca, i lavoranti decuplicano il loro numero e, l’inserimento nella realtà quotidiana non è sempre dei più tranquilli.
Il bel tempo ci consente una lunga passeggiata nel villaggio vicino allo stabilimento. Villette in legno coloratissime, l’antica chiesetta ortodossa, la scuola, la biblioteca, la palestra ed il market (cuore pulsante del villaggio!!), rivelano un armonioso agglomerato urbano inserito in angolo di mondo unico nel suo genere.
Rientrati sulla barca ci spostiamo in un’ansa vicina al villaggio per un approdo tranquillo ove trascorrere la notte. Una super cena a base di salmone, preparata dalla nostra chef, chiude alla grande questa giornata molto intensa.

Lasciamo il molo di Akutan e ci dirigiamo verso l’isola di Unalaska, dove ci aspetta una giornata a Dutch Harbour, meta finale della nostra esperienza Aleut. L’entrata nella profonda baia di Dutch Harbour è stata accolta da decine di aquile testa bianca e diverse lontre di mare. Partenza alla scoperta della cittadina, museo Aleut, giro al porto pescherecci, parte vecchia della citta’ e immancabile shopping nel mega store.

Ancora una notte nelle nostre cabine che ormai non ci sembrano più così piccole….
Uno splendido sole al risveglio. Dopo colazione tutti fuori sui pontili per gli ultimi scatti. Protagoniste assolute, decine di aquile appollaiate ovunque e tutti noi ovviamente, con l’equipaggio al completo.
Lasciamo Dutch Harbour.
Al decollo, finchè lo sguardo ce lo permette guardiamo quella fila interminabile di isole selvagge di una bellezza struggente. Si chiamano Aleutine e noi le abbiamo viste, ma sopratutto le abbiamo vissute.
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