L’attrazione che il Polo Nord, e più in generale le regioni polari, hanno esercitato sugli italiani affonda le sue radici nella notte dei tempi, all’inizio della storia dell’esplorazione polare. Durante il Medioevo e il Rinascimento molti famosi esploratori italiani diedero un grande contributo all’esplorazione del mondo. Nomi come Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e Antonio Pigafetta sono conosciuti da tutti. Ciò che non tutti sanno, è che malgrado la grande distanza dalle regioni polari e senza alcun interesse economico o territoriale, l’Italia, sino dagli albori, partecipò alla scoperta dell’Artico.
Molti dei primi viaggi nel grande nord sono ancora in dubbio in quanto la documentazione è molto scarsa e con ogni probabilità molti di loro non raggiunsero mai l’Artico. Inoltre, sembra sicuro che alcuni di essi furono completamente inventati. Non è completamente corretto chiamare queste persone esploratori in quanto molti di essi finirono in Artico per pura combinazione, a causa di tempeste che spinsero le loro navi lassù oppure perché erano alla ricerca di una nuova rotta verso la Cina e il Giappone. Spesso per loro quelle terre isolate nel nord hanno significato la salvezza. Ma dobbiamo riconoscere il loro contributo alla conoscenza di quelle remote regioni.
Alcuni di quei viaggi mitici furono portati a termine da Antonio e Nicolò Zeno nell’ultima parte del XIV secolo, da Piero Querini nel 1432 e da Giovanni e Sebastiano Caboto nell’ultima parte del XV secolo e nella prima metà del XVI secolo.
Altri esploratori italiani, nei secoli seguenti, seguirono questi precursori in Artico, portando a loro volta un grande apporto alla scoperta delle terre polari. Per citare i più importanti: Giacomo Bove che fu a bordo della Vega come ufficiale durante la prima navigazione del Passaggio a Nord-Est nel 1878-80; il Duca degli Abruzzi che nel corso della sua spedizione nella Terra di Francesco Giuseppe del 1899-1900 raggiunse la latitudine più settentrionale mai raggiunta prima; e Umberto Nobile che pilotò il dirigibile Norge nel 1926 e il dirigibile Italia nel 1928 al polo nord geografico. Certamente, in un contesto internazionale, non sono stati celebrati come i loro colleghi dei paesi del Nord Europa e alcuni di loro sono ancor oggi praticamente sconosciuti.
Tra questi esploratori quasi dimenticati merita un posto d’onore Guido Monzino che tra il 1960 e il 1971 comandò ben undici spedizioni tra Groenlandia ed Ellesmere che culminarono con la conquista del Polo Nord il 19 Maggio 1971. La sua fu la seconda spedizione a raggiungere in modo inconfutabile, via terra e con l’uso di mezzi tradizionali, slitte e cani, i 90° di latitudine nord, il tetto del mondo. L’impresa era riuscita due anni prima alla British Trans Arctic Expedition di Wally Herbert che attraversò la calotta polare dall’Alaska fino allo Spitsbergen seppure con l’aiuto di rifornimenti aerei. Ad onor del vero va detto che anche Monzino, malgrado non lo avesse previsto, si trovò costretto a servirsi di un velivolo per i rifornimenti. Inoltre a causa della stagione troppo avanzata non riuscì a fare ritorno a Cape Columbia sull’isola di Ellesmere e la spedizione terminò alla base derivante Americana T3, che in quel momento si trovava a 85°04’ N – 89°50’ W.
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire meglio quello che successe prima delle imprese da noi qui menzionate, e più precisamente nel primo decennio del XX secolo quando prima il Dottor Frederick Cook nel 1908 e poi Robert Edwin Peary nel 1909 rivendicano la conquista della massima latitudine. Entrambi però non saranno in grado di provare l’impresa e ad un attento studio i loro calcoli e i loro diari, in un primo momento accettati, si dimostreranno non attendibili. La presunta conquista del polo però fece sì che l’interesse per esso diminuisse e per decenni nessuno ritentasse l’impresa via terra; lo stesso Amundsen per quanto ossessionato dal Polo Nord diresse le sue attenzioni al Polo Sud che conquistò brillantemente nel 1911. Nel 1926 quando finalmente il grande esploratore Norvegese raggiunse i 90° nord fu a bordo del dirigibile Norge e non certo via terra, lo stesso dicasi per la spedizione russa di Otto Schmidt che nel 1937 atterrò con un aereo a 4 motori al polo o per l’impresa del sottomarino Nautilus che emerse dal pack sul tetto del mondo nel 1958. La prima spedizione a farlo via terra fu quella di Ralph Plaisted nel 1968 ma utilizzando motoslitte.
Eccoci quindi al 1969 e alla spedizione di Herbert, nello stesso momento anche Monzino si trova in artico e più precisamente in Groenlandia, dove è impegnato ad organizzare la logistica per il suo tentativo di conquista polare. Si tratta di un progetto di grandi dimensioni dotato di un programma complesso che prevede ben 5 viaggi suddivisi tra esplorazioni nautiche, spedizioni con slitte e cani e infine nel 1971 la grande sfida al Polo. Nel corso di questi viaggi Monzino si premura di scegliere le guide inuit, di impegnare i cani e le slitte, i viveri, di stabilire l’itinerario, etc. Tutto è predisposto in modo preciso e curato fin nei minimi dettagli, una spedizione di questa portata non si può certo improvvisare.
Raggiunta in volo la base militare americana di Thule, nella Groenlandia Nord Occidentale, e da qui Qaanaaq, la Thule del Nord, nel Gennaio 1971, la spedizione è subito alle prese con alcuni problemi logistici. Serve ulteriore combustibile per i fornelli Primus al fine di raggiungere i necessari 9000 litri, più cibo per i 300 cani che prenderanno parte all’impresa e bisogna sistemare i vestiti tradizionali in pelle e le slitte. Sono però le tensioni che si vengono a creare con il governo danese a preoccupare maggiormente Monzino che chiede la rimozione del radiotelegrafista e dell’interprete per comportamento non corretto. Finiti i preparativi la spedizione fa ritorno a Thule e da qui tre voli a bordo di un Hercules trasportano uomini e materiali alla base canadese di Alert, sull’isola di Ellesmere, mentre un quarto volo con a bordo ulteriori scorte raggiunge la base derivante americana T3, dove Monzino pensa di rifornirsi durante la traversata.
Da Alert vengono organizzati diversi viaggi a bordo delle slitte per approntare il campo base a Cape Columbia, il punto più settentrionale di Ellesmere, da dove si tenterà di raggiungere il polo. Per accelerare i tempi, svariati intralci diplomatici con i danesi hanno causato gravi ritardi, viene utilizzato anche un Twin Otter per il trasporto delle tende. Lo stesso aereo seguirà dall’alto la marcia sulla banchisa per controllare la posizione degli esploratori.
I partecipanti alla parte finale dell’impresa sono Monzino, due guide alpine della Valtournenche: Mirko Minuzzo e Rinaldo Carrel e un ufficiale cileno, Arturo Aranda, con esperienze in Antartico a cui si aggiungono 23 inuit e 2 partecipanti danesi. Questi ultimi imposti al capo spedizione dal governo danese, che amministra la Groenlandia. Un terzo partecipante danese, il medico della spedizione, spaventato dalla traversata aveva deciso di rimanere ad Alert, mentre l’ufficiale di collegamento canadese e il fratello del medico danese si ritireranno dieci giorni dopo la partenza. Il 2 Aprile 23 slitte trainate da 330 cani si lanciano sul pack per la sfida conclusiva e il 19 Maggio 1971 la bandiera italiana finalmente sventola al Polo Nord.
Il ritardo di oltre un mese, con il conseguente aumento delle temperature e lo scioglimento della banchisa, costringe però la spedizione ad abbandonare i propositi di rientro a Cape Columbia e a raggiungere invece, dopo aver percorso ben 2600 miglia, il giorno 11 Giugno 1971 la base derivante americana T3. La spedizione ha dovuto fare i conti con molte difficoltà, ma se il freddo o la fatica erano previste, sicuramente Monzino non si aspettava di dover combattere anche con la ritrosia degli inuit a continuare la marcia per timore dell’ignoto, il loro eccessivo consumo di combustibile e viveri, l’ambiguità di comportamento dei funzionari danesi che ostacolano i rapporti con gli inuit e anche dei canadesi che a un certo punto chiedono il ritiro dei materiali da Alert.
Sono state proprio le grandi difficoltà impreviste e non programmabili, risolte in modo magistrale dall’organizzato e preciso Monzino, a fare di questa spedizione una delle più grandi imprese polari di ogni tempo.
Ottimo articolo. Rievoca l’impresa di un grande e coraggioso esploratore italuano; Guido Monzuno. Purtroppo poco noto nel nostro Paese. Un esploratore che si comporto’ correttamente e non.come altri che modidicarono subdolamente dati e diari oppure non brillarono certamente per altruismo nei confronti dei compagni d’avventura.